Ti seguo sempre (anche se perdi sempre)
Il coro che sta diventando colonna sonora di questo finale di stagione racconta lo scollamento, forse definitivo, tra tifosi, società e squadra. Dopo la sconfitta con una modestissima Ternana, le sfide contro Lecce e Reggina diventano (purtroppo) l’ultima scialuppa per una (improbabile) salvezza diretta.
“La più consistente scoperta che ho fatto dopo aver compiuto 65 anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”, dice Jep Gambardella ne La grande bellezza. Per me i 65 sono ancora lontani, ma superati i 40 posso al contrario elencarne almeno un paio che continuerò a fare finché mi assisteranno le forze. Una è sicuramente andare in trasferta a seguire il Cosenza, come ho fatto a Terni. Arrivare allo stadio con gli amici di una vita sulle note di Cupe vampe e pensare che, dall’ex Jugoslavia all’Ucraina, non è davvero cambiato nulla. Brindare con chi ti annuncia la prossima nascita di un figlio. Discutere con Pierino sulle affinità-divergenze fra i “compagni” Trinchera e Goretti. Recuperare adesivi. Avere gli occhi lucidi quando Cristiano Lucarelli risponde ai nostri cori e saluta da lontano il settore. Restare senza voce, ma avere ancora voglia di giocare a calcio con un bambino. Cose così.
Quello che non vorrei più perdere tempo a fare, invece, è vedere tornare dagli spogliatoi una squadra arresa. Il polso del settore non mente mai e se all’inizio della ripresa parte il coro Ti seguo sempre, anche se perdi sempre vuol dire che siamo dalle parti di Fantozzi che vede San Pietro sulla traversa. Credo davvero poco nell’effetto taumaturgico di un ritiro a questo punto di una stagione che la presidenza, appena un mese fa, vedeva invece virare verso un incredibile entusiasmo, ma è pure vero che tra Lecce e Reggina si decide un bel pezzo di salvezza. O reagisci o cedi all’agonia, proprio come Vasco si rassegna ad essere all’ultimo posto tra i vari interessi della sua morosa.
Attenzione: parlo ancora di salvezza diretta, anche se per me è bell’e andata, ma è giusto che un allenatore indichi la luna, nella speranza che il gruppo non si fermi al dito. Nelle prossime due partite il Vicenza (contro Parma e Ascoli), l’Alessandria (contro Monza e Ternana) e la Spal (tra Perugia e Cremonese) potrebbero restare al palo. Insomma, se (e sottolineo se) il Cosenza riuscisse a fare due o tre punti nelle prossime due gare, alla ripresa di aprile il calendario ha apparecchiato un doppio snodo chiave targato Spal. Due scontri diretti per i ferraresi, contro Alessandria e Cosenza. Ovvero: l’ultima chance per risucchiare una quarta squadra (insieme a noi, ai grigi e al Vicenza) nella bagarre salvezza.
Volete sapere la mia? A meno di grosse sorprese, non ci riusciremo e l’unica chance che abbiamo è giocarci l’accesso al playout fino all’ultimo, in una sfida alla mediocrità assoluta che coinvolgerà Alessandria, Cosenza e Vicenza. Un anno fa in zona retrocessione noi e la Reggiana viaggiavamo da quintultimi a 28, con il Pordenone a 34. È vero, alle nostre spalle c’era l’Ascoli a 27, ma perché il Cosenza indossi i panni di quell’Ascoli dovremmo riuscire a infilare una serie di risultati positivi che, ora come ora, mi sembrano molto improbabili.
Al Liberati la squadra di Bisoli era partita con l’atteggiamento giusto. Purtroppo, però, ha finito per regalare quasi metà primo tempo ai rossoverdi. Questione di testa, più che di gambe o talento. Se è legittimo lo scoramento dopo l’imbarazzante rete di Koutsoupias, con Hristov probabilmente impegnato a scrutare l’orizzonte alla ricerca dell’incrocio di yin e yang, why e because, non è ammissibile che l’espulsione di Defendi non accenda una scintilla negli undici in campo. Nella sua banalità, forse, l’ingresso immediato di un giocatore come Florenzi (senza volergli caricare sulle spalle il fardello di salvatore della patria) avrebbe forse dato il segnale giusto. Invece ecco arrivare il raddoppio, ancora una volta su palla inattiva. E poi qualche timido segnale di risveglio nella ripresa, tra il gol annullato per fuorigioco a Larrivey (bene che il Var sia tornato a funzionare a Terni, mi sa che a Frosinone era staccata la spina) e Liotti che, dopo l’errore sotto porta con il Perugia, concorre ormai a pieno titolo per il premio Marco Pacione 2022.
Spiace, perché allo Stirpe invece una squadra si era vista. Impaurita nel finale, ingenua nel rigore concesso (regalato) ai padroni di casa, ma capace di rispondere colpo su colpo. Non è una squadra da quart’ultimo posto, disse Bisoli nel post partita. Invece no, ed è questo il punto: è proprio una squadra da quart’ultimo posto quella che si lascia imbucare il raddoppio da un avversario ridotto in dieci uomini (una modestissima Ternana), permette a un Crotone già retrocesso di agguantare il pareggio al 93’ o concede al Como la prima vittoria casalinga dopo tre mesi e mezzo. In definitiva è una squadra da quart’ultimo posto quella che non riesce a dare continuità a quegli sprazzi di buone prestazioni che pure riesce ad offrire. Ed è una squadra da quart’ultimo posto solo perché, al momento, ce ne sono tre molto più scarse. Nella serie B degli anni Novanta, o tempora, o mores, una squadra così non l’avrebbero nemmeno fatta scendere dal pullman.
Detto questo, come già scritto, i tifosi non mentono mai. A Parma, l’ultima trasferta che ero riuscito a fare, si uscì dal Tardini cantando siamo sempre con voi. I titoli di coda del Liberati sulle note di ti seguo sempre, anche se perdi sempre vogliono dire soprattutto una cosa: che ormai la squadra non è più quella che scende in campo, ma quella che sta sugli spalti. Non più voi, ma ti: il coro non si rivolge più a chi gioca le partite, ma un’entità superiore, il Cosenza, che la società non rappresenta più da tempo. Se la squadra ha intenzione di provarci, come a prescindere dal risultato era accaduto a Frosinone, lo dimostri subito. Qualcuno si prenda la briga di spiegare allo spogliatoio che contro Lecce e Reggina, da queste parti, non sono mai partite qualsiasi. Almeno per quelli che cantano ti seguo sempre.