Simboli, incantesimi e magie
In una serie B tra le più competitive di sempre, al Cosenza mancano ancora molti tasselli. E serve la consapevolezza che in una categoria così non basta “starci”, ma serve “esserci”. Con oneri e onori
Quando nell’estate 1992/93 venne presentato il calendario della serie B, l’allenatore rossoblù dell’epoca Fausto Silipo sorprese tutti i giornalisti. Gli chiedevano, com’è prassi, cosa pensasse di quel debutto a Padova in trasferta e poi, a seguire, delle sfide con le neopromosse Fidelis Andria e Ternana (nel mezzo la Lucchese). Lui rispose suppergiù che non gliene poteva fregare di meno. Dei calendari io vado a guardare sempre le ultime giornate, perché è lì che si decide tutto. Aveva dannatamente ragione e, in quella stagione, fu persino facile profeta, visto che (con quattro in casa nelle ultime sei) andò in vacca una promozione in A che sembrava già scritta.
E così, quest’anno, ho analizzato il calendario seguendo proprio quell’esempio. Vero, l’avvio di stagione ci mette subito davanti nelle prime cinque giornate Benevento, Parma e Bari, ma a me preoccupa soprattutto la coda. Nelle ultime cinque, infatti, il Cosenza giocherà in trasferta contro Perugia, Brescia e Ascoli, in casa con Venezia e Cagliari. E, se umbri e piceni hanno le carte in regola per essere mine vaganti del campionato, le ultime due per me, assieme a Genoa, Parma e Spal, sono candidate tra le più credibili candidate alla promozione. Insomma, la cauda della B che sta per iniziare contiene un venenum che, forse mai quanto stavolta, obbligherà a non ridursi all’ultimo per risolvere la pratica salvezza. Ovvero, il nostro obiettivo.
D’altra parte lo ripetiamo da mesi: questa serie B somiglia molto a una A2. Definizione spesso abusata, ma stavolta quanto mai attuale. Difficilmente Parma e Spal sbaglieranno un’altra stagione. I ducali chiedono a Pecchia di bissare il successo di Cremona: elementi come Man, Bernabé, Vazquez, Tutino e Mihaila offrono grosse garanzie. E così Moncini e La Mantia a Ferrara per Venturato. Il Genoa, oltre a una campagna abbonamenti da 18 mila tessere, può contare su bomber Coda (e un trequartista del calibro di Aramu). Il Venezia è riuscito a tenere in Laguna un talento come Busio, il Cagliari a mettere Lapadula a disposizione di Liverani. E non escluderei l’inserimento ai piani alti del Bari neopromosso. Ha investito molto la Reggina, pare un po’ in ritardo il Pisa (ma non lo vedo affatto tagliato fuori), molto ambizioso anche il progetto del Como, incuriosisce (e tanto) il Frosinone. Se escludiamo insomma Ternana e Palermo, la seconda soprattutto in attesa di rinforzi, sulla carta c’è più di mezza serie B in grado di lottare per la promozione. Per la legge dei grandi numeri, dunque, con qualcuna (assieme a Sudtirol e poche altre) finiremo persino a scornarci per evitare il baratro della C.
A questa stagione il Cosenza si presenta in maniera diversa dalle precedenti. Non più sulle ali dell’entusiasmo del 2018, ma nemmeno col morale sotto i tacchi come dopo Lignano e la successiva riammissione. Non rabberciato, ma nemmeno solido (o, almeno, non ancora). La notte magica di maggio, che ci regalò la salvezza ai danni del Vicenza, è un ricordo vicino – e molti suoi protagonisti sono ancora qui (qualche altro, come Camporese, avrebbe fatto molto comodo).
I primi botti del mercato targato Gemmi (D’Urso, Brignola) avevano fatto immaginare la costruzione di un organico completo in tempo utile per il “via” del torneo. E una campagna acquisti finalmente condotta (“Non sei convinto di venire a Cosenza? Mi frich’i tia”) anziché subìta (“O forse l’attesa di Cavion è essa stessa Cavion?”). Alla rosa messa a disposizione di Dionigi, invece, mancano per ora parecchi puntelli. In porta è difficile non confermare fiducia al Matosevic visto al Dall’Ara, ma un secondo di maggiore affidamento non guasterebbe. In difesa: con Hristov sparito (giustamente) dai radar, serve almeno un centrale a supporto di Vaisanen e Rigione. A destra Rispoli è un bell’innesto, ma non credo possa tirare la carretta da solo per un’intera stagione; sulla corsia sinistra, invece, scen’i Panìco (scusate, ma era da un anno che volevo fare questo calembour). A centrocampo plaudo alla conferma di Florenzi; bene Vallocchia nel turn over, ma manca ancora qualcosa (se quel “qualcosa” sia Brescianini, lo vedremo) (che possa essere Voca, ne dubito); ottimo l’arrivo di D’Urso.
Ci sono invece i numeri in attacco, dove però non mancano le incognite: la tenuta fisica di Larrivey, la continuità dell’estro di Brignola, la maturità di Nasti. E soprattutto una saggia gestione del talento di Zilli. Dove per saggia intendo (e suggerisco caldamente) maggiore minutaggio (rispetto a quanto visto finora) e meno fardelli (farne l’uomo della provvidenza non giova né a lui né a noi). E, a proposito di giovani, bene anche l’inserimento di Prestianni.
La vittoria col Benevento in precampionato aveva esaltato una parte dell’ambiente oltre ogni ragionevolezza; la sconfitta di Bologna in Coppa Italia ha spinto a piangere sterilità offensiva. Non amo molto l’espressione in medio stat virtus, ma stavolta credo calzi a pennello. A unire quelle due prestazioni c’è un’idea di posizionamento che Dionigi, per ora, è riuscito a trasmettere bene alla squadra. Intensità più che pressing. Tuttavia, my two cents in attesa della prova (vera) del campo, per conquistare la salvezza serve altro ancora. E, in generale, servirà molto di più (anche sul campo) rispetto a quanto sia stato fatto nelle precedenti quattro stagioni. Molte scelte di contratti pluriennali o di prolungamenti tempestivi sanno peraltro quasi di “anno zero”. Utinam. Chi scrive è convinto che, già nelle precedenti stagioni, si sarebbe potuto (dovuto?) fare meglio.
Un modello a cui ispirarsi, del resto, me lo ha riportato alla memoria la recente scomparsa di Claudio Garella, degnissimo avversario in quella che fu la nostra battaglia delle Termopili. Un Cosenza neopromosso, e decimato dagli infortuni, fermato solo da un grande portiere (e da un palo) (tacci sua) (al palo, ovviamente). A Cosenza gli Ottanta non furono anni di edonismo reaganiano, ma di sapiente programmazione calcistica. Di ricerca di una sintonia solida con la piazza, consapevoli del fatto che il pallone fosse un volano incredibile. Lo è ancora. E contiene ancora fortunatamente simboli e magie, come recitava una bellissima coreografia dei nostri ultras.
Al quinto anno consecutivo in questa categoria è ora di liberarsi dagli incantesimi del passato, smetterla di dividersi in tifosi veri, guarasciani e tagliaturi, convincersi che sia possibile, necessario scrivere una storia diversa da quella delle ultime, sofferte, tribolate stagioni. Se nel 1988 la curva Sud ci dichiarò tutti mai più prigionieri di un sogno, ora è dall’eccesso di realtà (e di realismo) che serve liberarsi. Il che, badate bene, non significa spendi e spandi o ambire ai piani alti – sulla mia fronte non c’è scritto Jo Condor –, ma essere consapevoli fino in fondo, e senza voli pindarici, della categoria che occupiamo, degli onori e degli oneri che comporta affrontare avversari come Genoa, Cagliari, Palermo e Bari. Piazze che hanno fame (e fama) di calcio storicamente maggiori della nostra.
Viene spesso nostalgia a ripensare agli anni raccontati così bene, e con gli occhi giustamente lucidi, da Gianluca Di Marzio durante la presentazione della squadra in piazza dei Bruzi. Perché la cosa davvero incredibile di quegli anni è che, mentre li vivevamo, era impossibile provare nostalgia: sapevamo chi eravamo (noi siamo il Cosenza, un limite alle ambizioni che però funzionava da stimolo) e il passato non reggeva il confronto col presente. Anche quando quel presente diventava controverso o finiva per deluderci all’ultima curva. E quella memoria, oggi, o ci serve come pungolo oppure conviene non evocarla neppure. Da quattro stagioni, insomma, stiamo in serie B. In questa quinta, invece, sarebbe bello (almeno) cominciare a esserci.