venerdì,Marzo 29 2024

L’aggressione di Piazza Trilussa, i falsi moralismi e i calci in faccia ai clochard

Evidenti le connessioni crescenti tra disagio psicologico e disagio materiale per gli esclusi dalle prestazioni sociali. Detto in soldoni, pur sempre possibile indagare perché si finisca a vivere senza casa o senza identità, chi vive ai margini sta molto peggio di quanto si possa pensare. Siamo abituati a credere sia una folla anonima e feroce di ubriachi molesti, scoppiati, agitati e pericolosi

L’aggressione di Piazza Trilussa, i falsi moralismi e i calci in faccia ai clochard

Il fatto è di palmare gravità. Ne scrivo da calabrese che per lavoro e famiglia, più raramente per svago, frequenta Roma da decenni. Tra la notte del 30 ottobre e quella del 31, in piazza Trilussa, che con San Cosimato e Santa Maria è tra i bastioni del by night trasteverino, ragazzi giovanissimi hanno letteralmente puntato e caricato un senzatetto, che del senzatetto portava agli occhi di lor signori i crismi della divisa ufficiale. Petto nudo nel fresco di tarda sera sotto la camicia strappata, sdraiato contorcersi salmodiando un mezzo delirio sul manto stradale.

Picchiato a ripetizione, come se un rullo compressore avesse calato un’anfetamina. Davanti all’onda d’assalto si è levata una ragazza cercando di placare il piccolo branco, così il passamano al senza fissa dimora è diventata faida di gruppuscoli. Piccolo inciso: di questo episodio non abbiamo nuove dalla penna di un cronista di strada, quei pazienti cacciatori di notizie di tutte le età che hanno fatto grande il genere della cronaca locale in questo Paese. Lo abbiamo appreso da un video postato e rimpallato da uno dei più diffusi quotidiani italiani.

L’immagine è necessaria, per la stampa e l’informazione non è corredo, ma un dilemma ci viene. Siamo sicuri che l’elevata diffusione delle immagini di violenza, che ormai si ricondividono con la leggiadria di mangiare una ciliegia, sia il servizio migliore alla conoscenza e alla collettività? Dove sta l’inchiesta, l’elemento di critica orientante, la forza suasiva del conoscere per impedire il riverificarsi? Non ci avventureremo in analisi dappoco sul “vuoto dentro”, il raptus senza motivi che anima le notti di giovanissimi e vecchissimi picchiatori disorganizzati. È materia che lasciamo agli esperti del ramo ed è tema troppo più serio di noi, che ci limiteremo a fare tre considerazioni di “cittadinanza”. 

Innanzitutto, le connessioni crescenti tra disagio psicologico e disagio materiale per gli esclusi dalle prestazioni sociali. Detto in soldoni, pur sempre possibile indagare perché si finisca a vivere senza casa o senza identità, chi vive ai margini sta molto peggio di quanto si possa pensare. Siamo abituati a credere sia una folla anonima e feroce di ubriachi molesti, scoppiati, agitati e pericolosi. E che ciò possa verificarsi è senz’altro vero. La stessa bestia che domina l’aggressore di stanotte può impossessarsi dell’aggredito di avant’ieri in un gioco di ruolo sociale dove l’esternalità della violenza diventa una paradossale affermazione di esistenza.

Fermiamoci però, una volta tanto, prima dei verdetti: è una vita durissima, senza cure, talvolta senza speranza ma che spesso nasconde pure storie di decoro, umanità, dignità, innocenza. Seconda osservazione: non ci piacciono i Soloni che stanno come al solito additando la vita notturna a causa di tutti i mali. È una condanna ipocrita come poche. Lo abbiamo visto nei due anni passati tra coprifuoco, lockdown, zone, pass e chiusure alternate: l’indotto dei locali, fosse anche la cosa più insana del mondo, è una parte della qualità di vita percepita e della circolazione effettiva dell’economia. Sembra un sistema che dica: ho bisogno dei vostri soldi, basta che non facciate troppo casino. Il problema della “movida” è quanto dura e in cosa consista, non che esista.

Se certe zone delle nostre città non fossero eternamente in bilico tra quattro/cinque ore di laute serate tossiche e altre diciannove/venti di disservizi, probabilmente le comunità non dovrebbero temere il parcheggio selvaggio, lo schiamazzo molesto, lo sbronzo che aggredisce, il terrore delle giovanissime che tornano a casa. Terzo aspetto cruciale, che non per forza è collegato al caso di specie, ma che è un grande rimosso nelle relazioni sociali: la pessima qualità delle sostanze psicotrope. Costruite per stordire a presa rapida, alterando lo stato soggettivo e la reazione comportamentale, sono demandate a un proibizionismo presbite che non protegge né consumatori né comunità, al più le casse di chi (sappiamo chi) ne gestisce le rivendite. 

Continueremo a uscire a Trastevere, se ne facciano una ragione, con quelle sue casette a pian terreno, con gli incroci tra vichi trasformati in porcile, le librerie di quartiere a orario continuato, i ragazzi in giro senza sosta. Continueremo perché ci piace e perché continuando forse aiuteremo a che gli assalti e le inciviltà trovino una risposta più efficace di un video ripostato, di un’ordinanza di divieto scritta male in italiano e peggio in diritto, di uno sdegno che dura meno, molto meno, degli orari di chiusura. 

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