venerdì,Febbraio 7 2025

L’equidistanza dagli impostori

Si torna in campo dopo la sosta e il ritorno alla vittoria col Palermo. Con un Florenzi in più e qualche barlume di fiducia. Tre punti che però non possono dichiararci fuori dai guai. Proprio come non si può dichiarare “sconfitta” la generazione che vent'anni fa scese in strada per il Social Forum

L’equidistanza dagli impostori

Il 23 novembre 2002 non c’ero (e, detto tra noi, non me lo perdonerò mai). Se però ci fossi stato, sono sicuro che in quel corteo avrei tenuto le cuffie alle orecchie (lo facevo spesso, nei cortei). E se lo avessi fatto, dalle cuffie sarebbe sicuramente partita una musica che ancora non esisteva. Una roba alla Sigur Rós, uno dei primi due pezzi di Með suð í eyrum við spilum endalaust.

Sono passati vent’anni da quel giorno e io ricordo ancora tutto. Ricordo la mail che mandai a Claudio Dionesalvi (questioni di Tam Tam, lo dico per gli inquirenti) la sera prima dell’arresto (mi sono sempre chiesto se l’abbia mai letta). Ricordo le paranoie dei miei genitori, che temevano potessi essere intercettato persino io (mamma doveva mandarmi un pacco di cibo con la Simet e andò nel panico, chissà che avrebbero pensato). Ricordo i libri degli esami all’università (e la ragazza) che mi trattennero a Perugia. Ricordo la copertina di Tam Tam, Cacciatori di lupi, avventurosamente uscito per la partita interna col Venezia, e parola per parola l’articolo che scrissi.

Se lo ricordo oggi, però, non è per mettere in fila fatti lontani e provarne nostalgia. Non è per declinare all’imperfetto siamo tutti sovversivi e nemmeno per dichiararmi ancora tale fuori tempo massimo. C’è una cosa che, infatti, a distanza di vent’anni tiene uniti per me quella vicenda e il Cosenza, e va molto oltre il fatto che il direttore della fanzine per la quale avevo l’onore di scrivere era finito in carcere e che, per certi versi, l’invasione della curva sud nel giugno 2000 fosse stato quasi l’antefatto di quell’operazione (risoltasi, ci tengo a ricordarlo, in una assoluta, totale e squinternata bolla di sapone giudiziaria).

Spesso si tende a dividere il mondo in vincitori e perdenti, e pare che non vi sia altra distinzione degna di esser tale. Al limite ne è ammessa un’altra, all’interno della categoria degli sconfitti. Ed è quella che concede a questi ultimi quella che mio padre chiamava la ragione dei fessi: ovvero hai perso, ma sarebbe stato giusto che vincessi. La dura legge del gol secondo Max Pezzali, insomma.

Nel mio piccolo, questa doppia distinzione l’ho sempre rifiutata. E quando Piero Romeo diceva siamo nati per soffrire, e ci riusciamo benissimo, quando Riccardo Tucci ne argomenta il corollario (Se fossimo nati a Madrid, tiferemmo Rayo Vallecano), io mi ci ritrovo appieno. Cioè so da quale parte della storia mi trovo: la stessa di chi reclamava un mondo migliore e ha visto trionfare il neoliberismo; quella di chi tifa per una squadra di provincia e sa che ogni giornata di campionato vestirà i panni della gazzella che deve correre più veloce del leone. E lo so che il leone resta il re della foresta, ma credetemi: io non vorrei mai essere il leone. E non mi avrete mai leone.

Esiste, credo, una vittoria più profonda della vittoria stessa – perché la vittoria cambia le persone, spesso in modo irreparabile. Ed è la coerenza: restare sulla linea verticale dei propri comandamenti morali. Restare fedeli a se stessi, possibilmente a quello che mio zio chiamava il bambino che c’è in noi. Puoi perdere, ma puoi impedire alla sconfitta di cambiarti. Puoi essere sconfitto, ma non battuto. Ed essere un tifoso del Cosenza per me ha sempre significato questa roba qui. Vi dirò che, forse, me l’ha addirittura insegnato.

Cosa ha insegnato, invece, al Cosenza quel mese lunghissimo senza uno straccio di vittoria, tra Como e Palermo? Io spero molte cose. Arrivato nello scetticismo generale (compreso il mio), William Viali ha schierato due settimane fa una squadra capace di rimontare un primo svantaggio e recuperare la vittoria dopo il pareggio avversario. Questa caparbietà (con un pizzico di fortuna) non la vedevamo dal 2-1 col Modena – e, guarda caso, quei tre punti furono ispirati da un sontuoso Florenzi.

Il ritorno di Nuciddra si è rivelato essenziale. Si tratta di un giocatore che a Cosenza, forse, non avevamo mai visto e di cui esistono persino pochi esemplari nel pianeta calcio Italia. Teniamocelo ben stretto, finché c’è. Il suo rientro in campo, insieme alla presenza di D’Urso e Calò (che, da queste parti, invocavo da tempo) (la chiamerei coerenza, voi che ne dite?), è stata la chiave di volta della vittoria. E, dopo mesi in cui con Dionigi in panchina l’intensità di gioco era letteralmente sparita, si è tornata a vederla. Sbaglieremmo, tuttavia, se ci collocassimo dalla parte dei vincitori.

Quelle contro Cittadella e Perugia saranno due sfide delicatissime. Assieme al Venezia, che segue il match in casa col Brescia, fanno tre scontri diretti in quindici giorni. La prima legge dice: non perderne nemmeno una. La seconda recita: vinciamone almeno una. Ma è chiaro che siamo su un crinale scivoloso. Con nove squadre in cinque punti può davvero succedere di tutto: scivolare terzultimi e volare al decimo posto.

E noi non possiamo permetterci voli pindarici. Comunque si chiuda a Natale (possibilmente a distanza di sicurezza dalla zona playout, signor Santa Claus), questa è una squadra che deve essere rinforzata. La lista della spesa è nota: portiere, terzino sinistro e centrale di centrocampo come stretto indispensabile, il resto dipenderà dal recupero mentale di Zilli e dalle scelte tattiche di Viali.

Molti di voi, credo, sono cresciuti con il famoso If di Rudyard Kipling in camera. A me ha sempre colpito una frase su tutte: Se riesci, incontrando il trionfo e la sconfitta, a trattare questi due impostori allo stesso modo… Di questo parliamo, quando parliamo di calcio e di politica, della trasferta di Cittadella e dei vent’anni dal Social Forum. Di quando cioè avevo vent’anni e, a vent’anni di distanza, misuro la mia equidistanza da questi impostori come il mio più grande trionfo. Sperando di poterla festeggiare, di tanto in tanto, la vittoria di qualche battaglia. Come un calcio di rigore parato al novantesimo.

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