Un milione di ricoveri prolungati in ospedale: sono anziani che non hanno assistenza a casa
Restano una settimana in più del dovuto perché soli: un costo di circa un miliardo e mezzo l'anno per il Servizio sanitario nazionale
Sono circa un milione gli anziani soli ricoverati in ospedale che restano almeno una settimana più del necessario in reparto perché non hanno assistenza a casa, tenendo occupati posti letto e incidendo sui costi delle strutture.
I ricoveri in medicina interna sono circa un milione e la metà dei ricoverati, quindi 500mila, è over 70 e non ha nessuno. Il 50%, secondo la stima del Fadoi (la società scientifica di medicina interna), resta almeno una settimana più del dovuto: si tratta di 250mila anziani ogni anno. Ma allargando lo sguardo all’insieme dei ricoveri (5 milioni in tutto) si può stimare che in tutti i reparti siano almeno un milione.
Ogni anno si contano in totale oltre 2 milioni di giornate di degenza improprie solo nella medicina interna per la difficoltà a dimettere gli anziani che non hanno sostegno familiare o risorse per un’assistenza a casa. È questo il peso che ricade indebitamente sulla sanità pubblica a causa delle carenze del sistema di assistenza sociale, ma anche dei servizi territoriali sanitari poco attrezzati alla presa in carico di questi pazienti.
Una survey condotta in 98 strutture da Fadoi indica che dalla data di dimissioni indicata dal medico a quella effettiva di uscita passa oltre una settimana nel 26,5% dei casi, da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti, mentre un altro 28,6% sosta dai due ai quattro giorni più del dovuto. Il 75,5% dei pazienti anziani rimane impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante in grado di assisterli in casa, mentre per il 49% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero oltre il necessario perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’assistenza domiciliare. E il tutto ha un costo per il Ssn di circa un miliardo e mezzo l’anno.
Considerando che i ricoveri nei reparti di medicina interna sono circa un milione l’anno e che almeno la metà di questi sono di over 70 e tenendo poi conto che ben più del 50% di questi prolunga mediamente di una settimana il ricovero oltre le necessità sanitarie, in tutto sarebbero 2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso. Un numero che influisce non poco sull’intasamento degli ospedali e che considerando il costo medio di una giornata di degenza, pari a 712 euro secondo i dati Ocse, fanno in totale un miliardo e mezzo l’anno di spesa che si sarebbe potuto investire in vera assistenza sanitaria. Nei reparti di Medicina Interna – ma il discorso non cambia di molto anche negli altri – gli over 70 sono oltre la metà nell’87,8% delle strutture. Molti anche gli ultraottantenni, che sono oltre la metà nel 17,3% delle strutture, tra il 40 e il 50% nel 20,4% dei casi, tra il 30 e 40% nel 24,5% dei reparti.
Non si pensi però alle medicine interne come a dei parcheggi per anziani soli. Quelli che vengono ricoverati sono infatti pazienti complessi, che nell’80,6% dei casi richiedono comunque oltre sette giorni di degenza per essere adeguatamente trattati, tanto da necessitare di un’alta intensità di cura nel 28,6% dei casi, media per il 69,4%. Il problema è che quando lo stesso medico dispone che il paziente venga dimesso, mai quella data corrisponde con quella effettiva delle dimissioni. Queste infatti si protraggono per oltre una settimana nel 26,5% dei casi, da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti, mentre un altro 28,6% sosta dai due ai quattro giorni più del dovuto.
«Tocchiamo con mano quotidianamente la necessità di farsi carico di problematiche sociali che finiscono per pesare indebitamente sugli ospedali», commenta Francesco Dentali, che dal primo gennaio è diventato il nuovo presidente della Fadoi. Per il presidente uscente di Fadoi, Dario Manfellotto, «le ricette come le case della comunità e gli ospedali di comunità sono vecchie, modelli che abbiamo già definito e sperimentato ma che spesso non funzionano e lo abbiamo visto per esempio col Covid».