Viali del tramonto
Come nel capolavoro di Wilder, dopo il pari col Benevento per il Cosenza si vedono i contorni di una surreale agonia. Nell'esultanza dopo il gol di Vaisanen, l'immagine plastica di una realtà arresa alla mediocrità collettiva
C’era un’altra squadra su di lui. E ci aveva offerto molto di più, mi spiega il direttore sportivo e mi sussurra il nome. Ma lì lo volevano da subito e lo avrebbero messo in Primavera. La Juve, invece, ce lo lascia fino a fine stagione. E io sono convinto che il ragazzo potrebbe tranquillamente fare la B, magari partendo riserva.
Gianni Rosati è il ds della Pistoiese. Ha lavorato con Genoa, Spal, Samb e Fermana. Nel 2012 è stato coinvolto nello scandalo Calcioscommesse. Era in panchina accanto al fratello, il mitico Tom Rosati (quello dello schiaffo a Cozzella, per intenderci), nella stagione 1964/65, quando il Cosenza sfiorò la promozione in serie B.
Mi ritrovo a parlare con lui in una piovosa mattinata fuori dallo stadio Melani, mentre una delle sue ultime scommesse, il 17enne Gianmarco Di Biase, ha appena firmato con la Vecchia Signora. Mezzo milione di euro per una squadra che, oggi, milita in serie D è tanta roba. E forse trattenere il ragazzo (sette reti in undici gare da titolare) non servirà a giocarsi la promozione con la Giana Erminio. Eppure, per un attimo, mentre da Cosenza mi arrivava la notizia dell’arrivo di Marras, ho riassaporato il gusto del calciomercato. Quello di chi, nonostante grossi problemi economici (gli arancioni ne hanno parecchi), riesce a conservare la lucidità per: testare nel Torneo di Viareggio 2022 un promettente sedicenne contro l’Inter; passato l’esame, aggregarlo alla prima squadra nell’estate scorsa; inserirlo (complice un ex rossoblù in panchina, Luigi Consonni) tra i titolari; capitalizzare la vendita, senza scioddrare da subito la squadra.
Forse Di Biase non diventerà il nuovo Cruijff nonostante la 14 sulle spalle, ma questo è quel che io immaginavo, quando Roberto Gemmi è diventato il ds rossoblù. Che cioè costruisse una squadra equilibrata, un mix tra calciatori esperti (i vari D’Urso e Calò) e giovani promesse da valorizzare. Domenica scorsa contro il Benevento, invece, ho visto i nostri Di Biase, ovvero Florenzi e Zilli, muoversi in campo nervosi e disorientati, in una formazione senza bussola. E questo, più del risultato finale, mi ha messo addosso una tristezza simile a quella con cui nel 1998 salutai con gli occhi lucidi la partenza di Stefano Morrone.
Bene Micai in porta, male tutto il resto, senza grosse eccezioni. Quello con i sanniti era un match salvezza di importanza capitale: averlo pareggiato equivale a una sconfitta. Dopo la sfida con il Modena, ne affronteremo quattro contro squadre della zona playoff (Parma, Ternana, Bari e Sudtirol). Il rischio concreto è di non riuscire a schiodarci dall’ultimo posto e restare fuori da quel gruppone che vede appena sei lunghezze di distacco tra zona playout e playoff.
Spesso in questi anni la tifoseria rossoblù si è divisa nella ricerca dei veri responsabili. Solo una parte residuale ritiene che non vi siano responsabili, perché in fondo da cinque anni siamo in serie B – che è come dire la mia vita coniugale va a meraviglia, ti presento mia moglie, si chiama Valentina Nappi. La verità è che mai come in questa stagione tutti i satelliti si sono allineati. La proprietà, la sua miopia e la consueta tendenza a trasformare il risparmio in profitto. Un direttore sportivo capace, ma che non riesce a portare i calciatori che vuole in rossoblù (e, non potendo dire pubblicamente il re è nudo, arriva a sostenere che con Panico e Gozzi la fascia sinistra sia coperta). Un allenatore (Dionigi) ritenuto dai più inadatto alla categoria e un sostituto (Viali) che, finora, aveva lavorato solo in C. Calciatori inadeguati o senza stimoli. Allineati nel senso che, mentre Braglia, qualche volta Trinchera, Occhiuzzi dopo il lockdown, Bisoli, talenti come Tutino o Caso, Asencio e Riviere erano riusciti a portare la carovana rossoblù su un’orbita diversa, stavolta tutto sembra convergere con chirurgica esattezza verso il peggio.
E l’esultanza della squadra in campo dopo il pareggio di Vaisanen, insieme al balletto del presidente Guarascio in tribuna, è la prova definitiva di questo allineamento. Non corri a raccogliere in rete il pallone dell’1-1 per riportarlo a centrocampo e giocare all’arma bianca gli ultimi minuti, perché sai che quella mediocrità è la dimensione collettiva generale.
Quando a carte tutti scoprono il tuo gioco, non si torna più indietro. O cambi gioco o devi confidare in una grossa botta di fortuna. Nel 2020 ci ha salvato il lockdown, nel 2021 il Chievo, nel 2022 San Francesco di Paola. Quest’anno il gioco viene svelato dalla mancata conferma di Bisoli e poi dall’arrivo di Viali. Il primo sarebbe stato giustificato solo dalla firma di un tecnico di prima fascia (o dalla piena riuscita della scommessa Dionigi). Il secondo è la conferma che a Cosenza non si può fare calcio – perché, come dimostra il caso Di Biasi, il calcio è visione di medio periodo e non pruvamu puru chissu. E, se non si può fare calcio, Cortinovis (bel prospetto, ma forse non in un ruolo cruciale) e Marras sono il meglio che ti puoi attendere dal mercato.
Il tifoso che è in me spera ovviamente nell’ennesimo riallineamento delle stelle, in una danza esteticamente più dignitosa rispetto a quella del presidente che balla in tribuna dopo il pareggio di Vaisanen. E spera che l’arrivo di altri calciatori ci metta nelle condizioni di entrare in una lotta per la salvezza mai così altolocata (ma non altrettanto impossibile, come dimostra il Benevento visto al Marulla).
L’analisi, il pessimismo della ragione, mi spingono invece a scorgere la sagoma di un’agonia lunghissima. I Viali del tramonto, appunto, come nel capolavoro di Billy Wilder, dove Norma Desmond corre verso il baratro stralunata e del tutto disallineata dalla realtà, continuando a recitare la vita. E noi costretti a vedere il timoniere ballare per un pareggio al novantesimo anziché recitare un doveroso mea culpa e trarne finalmente le dovute e necessarie conseguenze.