martedì,Marzo 19 2024

Franco Presta, incubi e segreti di un boss “riservato”

Da Tarsia aveva esteso il suo dominio a una vasta area della provincia, arrestato nel 2012 dopo tre anni di latitanza e da allora è ristretto al 41bis

Franco Presta, incubi e segreti di un boss “riservato”

Nei rapporti di polizia è immortalato come un killer gelido e spietato, ma gli amici lo definiscono schivo, addirittura timido. Uno che tra una detenzione e l’altra amava starsene tranquillo a casa, circondato dai propri familiari. Quale dei due profili corrisponda a quello del vero Franco Presta, però, non ha più importanza dato che dal 13 aprile del 2012 il suo biglietto per il carcere reca la dicitura “sola andata”. Da allora è ristretto in regime di 41bis. Di lui si è tornato a parlare in questi giorni dopo l’intervento alla Camera del capogruppo di FdI Giovanni Donzelli.

Il boss

Il suo arresto, avvenuto quel giorno dopo tre anni di invisibilità, pone fine alla fuga dell’uomo all’epoca considerato come uno dei latitanti più pericolosi d’Italia, un temibile boss in grado di esercitare il proprio imperio nella piccola Tarsia e a Roggiano Gravina per estenderlo poi a una vasta area della provincia di Cosenza: quella Valle dell’Esaro adagiata a metà tra il mar Jonio e la città capoluogo.  Al tempo stesso, però, le cronache giudiziarie lo presentano come un uomo votato all’azione, soprattutto in virtù della sua partecipazione a numerosi omicidi, presenti e passati. Questo da un lato. Perché dall’altro, nella sua fedina penale la condanna per fatti di mafia è sopraggiunta solo di recente. Doppia personalità, nella vita come nelle aule di tribunale.

L’invisibile

La sua prima volta è all’inizio degli anni Novanta, quando la giustizia tenta di incastrarlo invano per associazione a delinquere semplice. A quei tempi lo conoscono in pochi, perché per dirla con il pentito Umile Arturi: «Franco era uno riservato». Stavolta, però, il carattere c’entra poco. Riservatezza, nell’accezione di Arturi, sta per invisibile al mondo. Specie a quello criminale. Per lui, dunque, niente affiliazioni o battesimi di sangue, ma una presenza discreta al fianco del suo mentore, il che spiega come mai di Presta non vi sia traccia nei grandi processi alla vecchia e nuova mafia cosentina celebrati tra la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio.

Il killer

Di lui si comincia a parlare seriamente solo nel 2001, quando l’inchiesta “Luce” – poi naufragata nelle aule di tribunale – lo indica come autore di un duplice omicidio compiuto dieci anni prima. A quel tempo Arturi è solo un ricordo sbiadito. Le cronache, infatti, dipingono Presta vicino alle posizioni di Ettore Lanzino nella famiglia criminale chiamata a raccogliere l’eredità dei vecchi clan scompaginati dalle condanne del processo “Garden”. E se in quel contesto Lanzino è il capo, a Presta tocca il compito di guidare il gruppo di fuoco della nuova cosca ritenuta responsabile di numerosi lutti nel triennio di sangue 1999-2001. Le indagini relative a quei fatti lo vogliono in prima linea nell’eliminazione di tre boss di spessore: gli emergenti Franco Bruni “Bella bella” e Vittorio Marchio e, soprattutto, l’anziano padrino Antonio Sena.

L’ombra di San Lorenzo

Sono questi gli omicidi per i quali in seguito incasserà l’ergastolo. Francesco Galdi è uno dei pentiti cosentini di ultimo pelo e, tra le altre cose, riferisce di alcuni incontri avuti con Umile Arturi ai tempi in cui quest’ultimo era già un collaboratore di giustizia. Uno in particolare, si svolge proprio all’indomani del delitto Sena: «Arturi mi disse: è stato sicuramente Franco. Si capisce dal gran numero di proiettili esplosi che c’è la sua firma». Leggenda nera destinata ad alimentarsi negli anni. Il 16 gennaio del 2011, mentre lui è ancora latitante, suo figlio Domenico di 22 anni muore trafitto da un colpo di pistola esploso a bruciapelo da un commerciante, Aldo De Marco, con il quale il ragazzo aveva litigato per un parcheggio. Un mese più tardi, un commando armato fini ai denti si presenta nell’abitazione di Gaetano De Marco, il fratello di Aldo, nella piccola San Lorenzo del Vallo, e celebra un terribile trigesimo di sangue, uccidendo le due donne presenti in casa, madre e figlia rispettivamente di 45 e 26 anni. In seguito per quei fatti saranno condannati all’ergastolo due giovani del posto, entrambi amici di Domenico Presta. Il coinvolgimento di suo padre in quella strage, completata alcune settimane dopo con l’uccisione del sopravvissuto Gaetano De Marco, è un sospetto della prima ora che resterà però indimostrato.

L’arresto

Per questo e altro, forse, il 13 aprile del 2012, dopo tre anni di caccia serrata, gli investigatori mettono messo in conto l’eventualità di uno scontro a fuoco con lui. E invece niente di tutto questo. Quando la Squadra Mobile fa irruzione nel suo covo, un piccolo appartamento nel campus universitario di Arcavacata, si trova davanti un uomo di 52 anni piegato dal terribile lutto di un anno addietro. Stanco e invecchiato, ma non per questo privo di quella vitalità che un lampo di occhi azzurri può rivelare. Al pari di un sorriso beffardo regalato ai fotografi che immortalano il suo arresto. Nel suo corredo c’è anche un giubbino antiproiettili e agli agenti che gli chiedono spiegazioni lui risponde così: «Avevo paura che mi sparavate addosso». «Anche noi» ammettono i poliziotti. E il boss a loro: «Allora ci siamo sbagliati tutti». Fine di una caccia e per certi versi di un’epoca.

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