venerdì,Marzo 29 2024

Pochi asili, poche donne occupate: Cosenza tra le province con i dati peggiori

La fotografia emerge dal report dell'osservatorio "Con i bambini", che parla a proposito di «un circolo vizioso»: laddove le lavoratrici sono di meno c'è una percezione inferiore della necessità di servizi e allo stesso tempo, in mancanza di nidi, la possibilità per le mamme di svolgere una professione è fortemente limitata

Pochi asili, poche donne occupate: Cosenza tra le province con i dati peggiori

Se è vero quello che, proprio nella giornata della Festa del papà, emerge dall’analisi di Save the Children – secondo la quale il congedo di paternità è cresciuto negli ultimi dieci anni del 38% – è innegabile che, nonostante i passi avanti, il grosso delle attività di cura familiari e domestiche pesa ancora sulle spalle delle donne. Che continuano così a essere penalizzate nelle loro aspirazioni professionali. Il report dell’osservatorio “Con i bambini”, di recente diffuso da Openpolis, fotografa esattamente – dati alla mano – questa situazione. E il confronto con il resto d’Europa è nient’affatto consolatorio. «Nella maggior parte dei paesi dell’Unione – si legge nello studio – le donne con 3 figli lavorano più di quelle italiane con un unico bambino».

A generare questo quadro è un insieme di fattori: da quelli socio-culturali alle politiche familiari e di genere, con un ruolo di primo piano svolto dalla disponibilità di servizi per l’infanzia. A proposito di questo, giova ricordare come a novembre scorso (ne avevamo scritto qui) gli obiettivi posti dall’Ue siano stati innalzati dal 33 al 45% di copertura entro il 2030 per i bambini al di sotto dei 3 anni e dal 90 al 96% per quelli tra i 3 e i 5 anni. Un obiettivo non facile da raggiungere vista l’attuale diffusione di questi servizi sul nostro territorio, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.

Un divario, questo tra Nord e Sud, che si riflette anche sull’occupazione. «Il ritardo del nostro paese nel confronto europeo – si legge ancora nel report – è l’esito di profondi divari interni. Nel 2021 i giovani tra 25 e 34 anni lavorano nel 62,6% dei casi, quota che scende al 54% tra le donne. Mentre nell’Italia settentrionale questa percentuale si avvicina al 68%, nel mezzogiorno crolla al 34,9%».

Dodici le province dove «meno del 40% delle donne tra 35 e 44 anni sono occupate. Nessuna raggiunge i 20 posti nido ogni 100 bambini presenti». Tra queste anche la provincia di Cosenza assieme ad altre realtà meridionali: Vibo Valentia, Palermo, Barletta-Andria-Trani, Siracusa, Catania, Agrigento, Enna, Caserta, Messina, Caltanissetta e Napoli. Tra queste, quella con l’offerta più ampia è Messina, mentre le altre «presentano un’offerta di gran lunga inferiore».

«In particolare – riporta Openpolis – le province di Cosenza, Caserta e Caltanissetta, tutte con 8,9 posti ogni 100 residenti sotto i 3 anni. Molto lontani dalla vecchia soglia del 33% fissata in sede Ue, per non parlare della nuova del 45%. Gli stessi capoluoghi delle 3 province citate si attestano tra l’11,1% di Cosenza e il 15,5% di Caltanissetta. In termini di diffusione sul territorio, offrono servizi per la prima infanzia il 45,2% dei comuni casertani, il 30% di quelli cosentini e il 18,2% di quelli nisseni. Cifre che fanno il paio con quelle sulle poche donne che lavorano in queste aree».

E se l’occupazione femminile è minore laddove mancano i servizi, è anche vero il contrario, sottolinea lo studio che parla di «un circolo vizioso che si autoalimenta»: «Nei territori in cui poche donne lavorano, la percezione della necessità di servizi è spesso inferiore; allo stesso tempo, in mancanza di nidi, la possibilità per le donne con figli di lavorare viene di fatto fortemente limitata. Creando un disincentivo evidente all’occupazione femminile».

Nel report si sottolinea anche come «nelle regioni del mezzogiorno, dove gli asili nido sono molto meno diffusi, è molto più alta anche la quota di anticipatari alla scuola dell’infanzia. Ciò significa che una domanda latente del servizio esiste. Perché se è proprio nei territori con pochi asili nido che gli anticipi sono più frequenti vuol dire che è la scuola dell’infanzia a farsi carico di una domanda che già oggi esiste, pur non essendo intercettata dall’offerta di nidi, ancora inadeguata in molte aree del paese».