Maltrattamenti e razzismo, cadono le accuse contro un cosentino di 49 anni
A denunciarlo era stata la sua ex compagna che sull'argomento ha scritto finanche un libro, ma alla fine pure la Procura ne ha chiesto l'assoluzione
Era accusato di maltrattamenti in famiglia e lesioni con un’aggravante sinistra: quella dell’odio etnico e razziale. Questi, però, sono sospetti che Luca Bartelli si è lasciato ormai alle spalle. Il cosentino di 49 anni, infatti, è stato assolto da ogni imputazione al termine di un processo che lo ha visto contrapposto alla sua ex compagna di origini camerunensi dalla quale ha avuto un figlio alla fine del 2016. Era stata proprio lei a denunciarlo all’inizio dell’anno successivo, rappresentando alle forze dell’ordine una sorta di inferno domestico che era stata costretta a vivere a causa dell’uomo e dei suoi familiari.
Schiaffi, calci, pugni, minacce di morte «pressoché quotidiane» e poi gli insulti a sfondo razziale. Ingiurie del tipo «negra», «inferiore e senza diritti», «utile solo per scopare e poi buttare via», «appartenente a una razza che deve sparire dalla faccia della terra», «meno male che mio figlio è nato bianco» o più semplicemente «sei una merda». Una serie di vessazioni che, a suo dire, si erano protratte fino a settembre del 2017, periodo in cui decide di abbandonare il convivente e traslocare in una casa famiglia.
Male, anzi no. Perché il processo non è stato in grado di confermare il quadro a tinte foschissime da lei descritto, sollevando semmai dubbi di segno opposto. Non a caso, l’esame dei testimoni d’accusa non ha aggiunto nulla in termini indiziari; viceversa, quelli reclutati dall’avvocato difensore Roberta Fragale sono riusciti a incidere sul giudizio finale. In aula, infatti, sono stati sentiti i genitori conviventi di Bartelli e una zia che frequentava spesso la loro abitazione. I tre anziani, lontani anni luce dal prototipo dell’orco e e del carceriere, hanno negato con decisione qualunque episodio di violenza fisica o psicologica esercitata sull’ex nuora, riconducendo il tutto a ordinarie discussioni inerenti la gestione del neonato.
Durante il dibattimento è stata raccolta anche la testimonianza della parte offesa. La donna ha ribadito il suo racconto, lamentando una specie di regime «di segregazione» impostole da Bartelli e dai suoi genitori durante la loro convivenza, ma al riguardo la difesa ha opposto una serie di evidenze di segno contrario. Morale della favola: anche il pubblico ministero, in sede di requisitoria, si è determinato a chiedere l’assoluzione dell’imputato, ritenendo che il narrato della donna difettasse in precisione e coerenza. Come l’abbia vista il Tribunale, invece, lo sapremo fra sessanta giorni al deposito delle motivazioni. L’unica certezza, al momento, è che Bartelli è stato assolto perché le prove contro di lui sono state ritenute insufficienti.
La sua accusatrice era arrivata in Italia nel 2014 ed è attualmente attiva nel mondo dell’associazionismo a tutela delle donne vittime di violenze. Lei stessa sostiene di averne subite in Camerun dalla sua famiglia d’origine, in particolare maltrattamenti da un padre padrone e poligamo. Di recente ha pubblicato un libro in cui racconta sia queste disavventure che quelle che sostiene di aver patito in Calabria. Un capitolo, quest’ultimo, che ora andrà necessariamente aggiornato.