Asp Cosenza, il buco nero delle prestazioni “private” dei medici
Gli elenchi dei professionisti che svolgono attività intramoenia sono fermi dal gennaio 2020. C'è il rischio che in molti non paghino il servizio sanitario
C’è molto nervosismo negli ambienti della sanità calabrese dopo l’inchiesta della Guardia di Finanza e dei Nas all’ospedale Pugliese Ciaccio. Il sospetto è che questa indagine possa allargarsi presto ad altre aziende del nostro servizio sanitario. A Catanzaro sono finiti indagati una ventina fra primari, dirigenti di struttura, personale amministrativo dell’ufficio Alpi (attività libero-professionale intramuraria). Sul fronte dell’intramoenia gli accertamenti vogliono fare luce sulle modalità con cui veniva svolto il servizio. In particolare, l’ipotesi accusatoria è che i medici abbiano trattenuto l’intero compenso delle visite private, costringendo anche i pazienti a pagare le visite in contanti per evitare la tracciabilità. I pazienti sarebbero anche stati indotti a sottoporsi a visita specialistica preliminare senza che fosse necessario ma solo per incassare il compenso.
Irregolarità che, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbero avvenute con la compiacenza degli amministrativi dell’ufficio Alpi dell’ospedale che non sarebbero intervenuti per bloccare la pratica illecita ma anzi, è il sospetto, si sarebbero prodigati per facilitarla.
Ma perchè non è solo Catanzaro a tremare? Il problema è che la situazione economico-finanziaria della nostra sanità è dovuta soprattutto al caos amministrativo che regna negli uffici. Questo spiega come sia diventata ricorrente, ad esempio, la pratica del doppio o triplo pagamento delle stesse fatture.
Tornando all’attività intramoenia, essa deve essere autorizzata dall’azienda di appartenenza e deve rispondere ad alcuni requisiti: non comporti un incremento delle liste di attesa per l’attività istituzionale; non contrasti o pregiudichi i fini istituzionali del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale; non contrasti o pregiudichi gli obiettivi aziendali; non comporti, per ciascun dirigente, un volume di prestazioni o un volume orario superiore, a quello assicurato per i compiti istituzionali.
Una volta autorizzata questo tipo di attività poi il professionista è tenuto a versare una quota parte della sua prestazione all’azienda di appartenenza. Proprio quello che non sarebbe successo a Catanzaro secondo le ipotesi dell’accusa.
Dicevamo però che Catanzaro potrebbe non essere un caso isolato, proprio per la confusione amministrativa cui facevamo riferimento prima. Basti pensare che all’Asp di Cosenza, sul sito aziendale, pare che l’elenco dei professionisti che svolgono attività intramoenia è aggiornato al mese di gennaio del 2020, quindi più di tre anni fa. Eppure in quella azienda sono molti i medici che svolgono questo tipo di attività, secondo alcune stime siamo ad una percentuale vicina al 30% ovvero un medico su tre. Insomma un’attività che frutta un bel po’. Ma quanti dei soldi di queste prestazioni finiscono nelle casse di un’azienda, come l’Asp di Cosenza, che ha bisogno di liquidità come il pane? Forse nessuna, forse tutte. Chi può dirlo? Difficile in questa situazione effettuare i controlli se non c’è un data base aggiornato e se, a volte, mancano anche le convenzioni fra il professionista e l’azienda. Insomma nel vuoto amministrativo potrebbe succedere di tutto. Qualcuno però si è accorto di questa situazione e, forse anche sulla spinta di quanto sta accadendo a Catanzaro, sta provando a porre rimedio.