lunedì,Ottobre 14 2024

Perché Bergamini non andò al Parma, la verità alternativa di Lamacchia

Per l'ex amministratore del Cosenza «fu Nevio Scala a non volerlo più», ma l'unico che potrebbe fare chiarezza sull'argomento non è fra i testi del processo

Perché Bergamini non andò al Parma, la verità alternativa di Lamacchia

Buona la terza. Dopo due tentativi andati a vuoto, anche Bonaventura Lamacchia è riuscito infine a calcare la scena del processo Bergamini. «Mera disattenzione la mia, ci tenevo a essere qui. Chiedo scusa ai giudici e agli avvocati» è stata la formula da lui scelta per giustificare le precedenti assenze. Del Cosenza calcio è stato anche presidente, ma all’epoca della morte di Denis, rivestiva ancora il ruolo di amministratore delegato. Era lui, per intenderci, che autorizzava i pagamenti degli stipendi ai calciatori e, non a caso, c’è la sua firma sull’assegno da otto milioni di lire e rotti che Denis aveva in tasca il 18 novembre del 1989. Lamacchia è rimasto sulla sedia dei testimoni un paio d’ore, tornando con la mente ai fatti di trentatré anni prima, quasi trentaquattro. Ne è venuto fuori un quadro neutro, ma decisamente confuso. Tutta colpa dei ricordi sbiaditi, se non addirittura fallaci.

Gran parte della sua deposizione è orbitata attorno all’ormai famosa trattativa tra Bergamini e il Parma che lui colloca nell’autunno del 1989, «durante il mercato di riparazione», mentre è un dato ormai acquisito che il calciatore rifiutò l’offerta mesi prima, in periodo estivo. Riguardo al motivo di quel mancato trasferimento, l’ex Ad ha parlato di un «cambio di decisione da parte di Nevio Scala», all’epoca allenatore della squadra emiliana che per Lamacchia in quel 1989 militava già «serie A».

Ricordi fallaci, dicevamo, e non solo perché questo è un risultato che il Parma conseguirà solo l’anno successivo. Anche riguardo alla presunta contrarietà di Scala, infatti, una spiegazione molto diversa è arrivata in precedenza da Bruno Carpeggiani, procuratore dell’epoca di Bergamini nonché testimone diretto di quel negoziato fallito proprio in extremis.

Di tutto di più, insomma. Fatto sta che proprio questo è stato uno degli argomenti più dibattuti del processo, tant’è che prima di Lamacchia su questo determinato aspetto della vicenda sono stati chiamati a esprimersi familiari, compagni di squadra e semplici cronisti, ognuno di loro portatore di una verità diversa sul tema. Un punto, forse, avrebbe potuto metterlo Gianbattista Pastorello, allora direttore sportivo del Parma e artefice principale del tentativo di acquistare Bergamini per conto dei Crociati, ma tant’è: Pastorello non fa parte di questo processo giacché la polizia giudiziaria non lo ha mai sentito a sommarie informazioni né la Procura ha ritenuto di doverlo inserire nell’elenco dei testimoni.

E così oggi, il compito di fare “chiarezza” è stato demandato a Lamacchia. L’ex deputato Udeur era stato già sentito due volte, nel 2012 e nel 2018, nell’ambito delle altrettante inchieste aperte sulla morte del calciatore. Nel 2012, a proposito del gran rifiuto opposto al Parma, riconduce la scelta al fatto che Denis, per come «da lui esternato», fosse «impegnato sentimentalmente a Cosenza». Oggi, non ha inteso confermare questa dichiarazione, appresa – sostiene – «per sentito dire».

Anche la nettezza di certe affermazioni rilasciate alla pg sul presunto suicidio, ipotesi secondo lui ritenuta verosimile, a caldo, da alcuni compagni di Bergamini – Napolitano, De Rosa, Marino e Marulla fra gli altri – è stata riproposta poche ore fa in termini più sfumati. «Erano calciatori che comunque non lo conoscevano bene. Marulla, per esempio, nella stagione 1989/90 non era stato ancora acquistato dal Cosenza». Marulla, invece, fu persino sentito dal pm dell’epoca, Ottavio Abbate. Ed era tornato a vestire il rossoblù proprio in quell’anno disgraziato. Il finale corre sul filo del “si dice”. Lamacchia, infatti, ha spiegato di aver saputo dall’ormai defunto Renato Madia che una maschera del cinema Garden aveva visto uscire dalla sala «Bergamini insieme a Isabella Internò e a due uomini». Una confidenza che il magazziniere del Cosenza gli avrebbe fatto attorno al 2018 o giù di lì, quando l’episodio in questione era stato già smentito dai fatti. Oggi, però, è tornato attuale per qualche istante.

Insomma, se di ricerca della verità si tratta, è difficile che quest’ultima passi dalle parole di Bonaventura Lamacchia né tantomeno da quelle del secondo testimone del giorno. Si tratta di Francesco Arcuri, uno dei cugini di Isabella Internò. Due le circostanze che, in un recente passato, lo hanno reso persona d’interesse agli occhi della polizia giudiziaria proiettandolo nel vortice delle congetture: una foto che lo immortala ai funerali di Bergamini e il frame di un filmato Rai che lo vuole a Trebisacce come spettatore di un’udienza del processo contro Raffaele Pisano.

Seppur in astratto, le premesse sembravano rimandare a quella che la pubblica accusa considerava una testimonianza importante. Nelle intenzioni di Primicerio, infatti, l’esame avrebbe dovuto essere molto lungo, tant’è che verso mezzogiorno il pubblico ministero ha chiesto di farlo slittare alla seduta successiva. «Il testimone ci uccide» lo ha avvertito il presidente della Corte, richiamando la precedente odissea tribunalizia di Arcuri, costretto ad attendere invano il proprio turno dalle nove al mattino fino a mezzanotte. Il magistrato sembrava indeciso sul da farsi, ma a levarlo dall’impiccio è stato uno dei difensori della Internò. Angelo Pugliese, infatti, si è detto disponibile a congedare il teste, acquisendo le dichiarazioni da lui rese alla pg e riassunte in un verbale di tre paginette. Il pm ha accettato la proposta. Evidentemente, non era poi così importante. Prossima udienza il 16 giugno.