Inchiesta su Giuseppe Aieta, chiusa la fase cautelare. Ora si attende l’udienza preliminare
Il verdetto della Cassazione pone fine alla prima parte del procedimento. Il Riesame, nei mesi scorsi, aveva annullato la misura del divieto di dimora in Calabria per la mancata valutazione del giudice rispetto alle richieste della procura
Con il provvedimento emesso dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla procura di Paola, avverso l’ordinanza del Riesame di Catanzaro sull’ex consigliere regionale del Pd, Giuseppe Aieta, si può dire conclusa la fase cautelare del procedimento penale. L’ex sindaco di Cetraro, oggi attuale consigliere di minoranza, seguirà le prossime fasi processuali da uomo libero in attesa che venga fissata l’udienza preliminare nel corso della quale verrà deciso se rinviare a giudizio o meno Giuseppe Aieta.
L’inchiesta contro Aieta riguarda presunti casi di corruzione soprattutto in relazione alla gestione delle “Terme Luigiane” di Guardia Piemontese. Secondo la procura di Paola, l’indagato si sarebbe speso per la causa in cambio di voti. Un presunto patto corruttivo che inizialmente aveva generato la misura del divieto di dimora in Calabria, durata poche settimane visto l’annullamento del Riesame di Catanzaro dell’ordinanza cautelare emessa dal gip di Paola. L’inchiesta, com’è noto, ha coinvolto anche altri amministratori, come gli attuali sindaci di Acri, Pino Capalbo e Longobucco, Giovanni Pirillo, nonché imprendotori e dipendenti di società interessate ai “buoni uffici” di Giuseppe Aieta.
Rispetto all’ordinanza del gip di Paola, il Riesame non ha annullato il provvedimento restrittivo per l’assenza di gravità indiziaria, bensì per l’autonoma valutazione mancante in ordine alle contestazioni mosse dalla procura di Paola. Il ragionamento adottato dal giudice estensore Barbara Elia, componente del collegio giudicante presieduto da Mario Santoemma, si inserisce un orientamento di legittimità più restrittivo che aderisce al principio secondo cui è obbligo del gip assumere un’autonoma valutazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, pur senza compromettere o eludere i richiami per “relationem“, o come nel caso del giudizio su Aieta, direttamente per incorporazione, conseguenza di un orientamento più ampio applicato dal gip di Paola.
In definitiva, il Riesame ha ritenuto che il gip di Paola abbia reso una motivazione meramente apparente, «basata in larghissima parte sul riepilogo di disposizioni normative e massime giurisprudenziali, intervallata da sporadici ed incidentali riferimenti alle persone degli indagati, non espressiva di un autentico confronto tra fattispecie astratta e fattispecie concreta» evidenziando «sul piano oggettivo e soggettivo» i fatti descritti e imputabili a Giuseppe Aieta. Per il Riesame, in buona sostanza, le motivazioni illustrate dal gip non erano sufficienti per valutare correttamente le condotte di Giuseppe Aieta. E’ questa dunque la questione difensiva accolta dal Riesame, che sull’incompetenza territoriale dei fatti contestati all’ex consigliere regionale aveva espresso invece un giudizio negativo rispetto alle richieste poste in essere dall’avvocato Vincenzo Adamo.
La difesa aveva rilevato la nullità dell’ordinanza, rifacendosi all’art. 292 comma 2 lett. c), del codice di procedura penale. Il Riesame, a tal proposito, aveva sottolineato come il gip di Paola non avesse argomentato sul presunto asservimento della funzione «attraverso il riferimento ad episodi concreti idonei a rivelare il disvalore penale della condotta in relazione anche, alla natura politica o di alta amministrazione degli atti e delle iniziative svolte dall’indagato sul territorio regionale, o alla natura discrezionale degli atti amministrativi, che non ne esclude la tipicità». Il gip, come raccontato nei servizi pubblicati dalla nostra testata, aveva inviato gli atti d’indagine ad altre procure per le determinazioni di competenza, spiegando le ragioni per le quali aveva deciso di applicare la misura cautelare del divieto di dimora in Calabria e non la custodia in carcere richiesta dalla procura di Paola.
La corruzione
Il Riesame comunque ha dato una valutazione sull’accusa di corruzione contestata ad Aieta. «Né appare risolta la incongruenza insita nell’istanza cautelare la quale, dopo aver fondato l’ipotesi accusatoria di cui all’art. 319 c. p., sull’asserita non necessità di atti formali per l’integrazione del reato, si avvale di massime giurisprudenziali che invece richiedono, per la configurazione della medesima condotta, l’espressa adozione di atti valutativi (tipici) di natura discrezionali, diversi dai meri comportamenti od operazioni materiali e riporta fattispecie relative all’omissione della comparazione degli interessi e quindi dell’istruttoria, che è una delle fasi tipiche ed ineliminabili in cui si articola, formalmente, il procedimento amministrativo». Infine, scrivono i giudici, «il Collegio rileva che non è stata motivata la sussistenza delle condotte integrative del rapporto sinallagmatico ascritte ad Aieta, con specifico riguardo alla corrispettività, intesa e voluta dalle parti, dell’ipotizzato “pactum sceleris“, che avrebbe previsto la spendita immediata della funzione pubblica a fronte di un vantaggio futuro (la promessa dell’ottenimento di voti alle elezioni amministrative regionali, previste per l’anno 2020), prestandosi il compendio investigativo a letture alternative la cui inverosimiglianza non è stata nemmeno sindacata».
- Tags
- Giuseppe Aieta