Cosenza, il monito di Gimigliano: «La città unica ucciderà il centro storico» | VIDEO
Il libro dell'ingegnere è una riflessione sullo sviluppo urbanistico atipico di una città che ha finito per marginalizzare la sua parte antica
L’eventuale istituzione della Grande Cosenza, attraverso la fusione del comune bruzio con Rende e Castrolibero, guardando quindi prevalentemente verso nord rispetto al capoluogo e non all’allargamento dell’area urbana in senso circolare, decreterebbe immediatamente la morte di Cosenza vecchia, già estremamente marginalizzata rispetto al resto della città.
Lo dice a chiare lettere e senza fronzoli Domenico Gimigliano, ingegnere, tra gli animatori del movimento civico per la salvaguardia del centro storico di Cosenza Prima che tutto crolli, ed autore del libro, pubblicato da Pellegrini, La periferia si fa centro, un contributo di idee sugli interventi da adottare per il recupero architettonico e sociale del patrimonio culturale diffuso tra i vicoli e nelle piazze arroccate all’ombra del Castello Svevo e affacciate sul Crati e sul Busento.
Il volume è stato presentato nella Sala degli Stemmi del Palazzo Arcivescovile nel corso di una iniziativa coordinata dalla giornalista Donata Marrazzo, introdotta da una relazione dell’architetto Fulvio Terzi, alla quale hanno partecipato esponenti della politica locale, professionisti ed esperti, componenti di associazioni e comitati. Sono tra gli altri intervenuti il tenente colonnello Luigi Aquino, responsabile unico del Contratto del Cis, il Contratto Istituzionale di Sviluppo per il centro storico di Cosenza, il presidente di Confindustria Fortunato Amarelli e Francesco Alimena, consigliere comunale con delega al centro storico di Palazzo dei Bruzi.
«Il valore di Cosenza vecchia è indiscutibile – ha detto Domenico Gimigliano – ma in questo contesto abbiamo assistito ad un fenomeno probabilmente unico nel suo genere in Italia, con uno sviluppo urbano indirizzato nel secondo dopoguerra in via esclusiva al di là della cintura delimitata dai due corsi d’acqua della città. Si è trattato di una fuga disordinata verso le cosiddette case nuove, favorita dalla mancanza per molto tempo di un piano regolatore e dall’aspirazione delle famiglie di vivere in abitazioni più efficienti anche se figlie della speculazione edilizia».
Il tentativo condotto durante la sindacatura di Giacomo Mancini di rivitalizzare Cosenza vecchia attraverso il programma europeo denominato Urban è stato utile per un rilancio tuttavia solo temporaneo poiché, spiega Gimigliano, carente di politiche abitative, strategiche per ripopolare strutturalmente il centro storico e favorire l’insediamento di servizi pubblici e attività produttive. «Oggi qui rimane solo qualche bottega artigiana da inquadrare come economia resiliente».
Sulle politiche abitative poi, l’ingegnere ricorda come vi siano diverse strade da imboccare per intervenire sul patrimonio edilizio ancorché privato. «Ci sono appositi strumenti normativi, il più efficace dei quali ritengo sia il contratto di quartiere, programmi complessi in cui interventi pubblici e privati viaggiano insieme. Quello del rione Santa Lucia è un esempio, ma purtroppo ancora non è stato completato».
Delle ripercussioni del degrado edilizio sul tessuto sociale ha parlato l’arcivescovo Giovanni Checchinato. La residenza e gli uffici del presule sono uno degli ultimi avamposti istituzionali e funzionali ancora presenti da queste parti: «La situazione è evidentemente critica per cui ritengo particolarmente importante il saggio di Domenico Gimigliano, un libro che ha il merito di spingere alla riflessione sulla condizione della città vecchia, suggerendo pure alcune soluzioni. Il decadimento strutturale rischia di acuire il disagio di chi abita il borgo. E però – dice il pastore – questo luogo continua a compiere le sue funzioni di contenitore pieno di storia, di radici, di identità. La Chiesa ha il dovere di mantenere qui il suo presidio proprio perché ha i piedi nel passato, vive il presente ed è proiettata verso il futuro».