Corigliano Rossano, un gruppo di detenuti occupa la sezione
La denuncia del Sappe. Solo grazie all’intervento della polizia penitenziaria non si è avuta la peggio. «A Rossano in servizio 57 agenti su 153 previsti»
Solo grazie all’intervento della pur ridottissima pianta organica della polizia penitenziaria del carcere di Corigliano Rossano, non si è avuta la peggio.
Le scene di ordinaria follia si sono registrate nel tardo pomeriggio nell’istituto di pena rossanese, nuovamente teatro di violenze. Oggi, un gruppo di detenuti già noti per fatti simili avvenuti in altre carceri, si sono impossessati della sezione dove erano collocati, dopo aver tentato di aggredire il vice comandante del reparto. Solo dopo, per come riferisce il Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, sono riusciti a prendere possesso della sezione.
«Grazie alla professionalità del personale in servizio – spiegano Giovanni Battista Durante e Damiano Bellucci, rispettivamente segretario generale aggiunto e segretario nazionale del Sappe – è stato scongiurato il peggio, poiché gli agenti sono riusciti a riportare i detenuti nelle rispettive camere detentive, ripristinando la sicurezza all’interno della sezione detentiva. Purtroppo, nel carcere di Rossano, negli ultimi tre mesi, sono stati destinati numerosi detenuti che negli istituti di provenienza pare si siano resi promotori di eventi simili. Si tratta di soggetti di difficile gestione. Infatti, negli ultimi mesi, più volte sono stati posti in essere atti di violenza contro il personale di polizia penitenziaria che, tra l’altro, è in numero molto ridotto». La denuncia del sindacato rende l’idea della situazione in cui versano le carceri, soprattutto al sud. A Rossano, sulle 153 unità previste in pianta organica, in servizio ve ne sono appena 57.
«Un altro grave problema del carcere rossanese – secondo il Sappe – è dato dalla presenza dei detenuti affetti da problemipsichiatrici, molti dei quali considerati abbastanza gravi, nonostante non sia presente un’ articolazione territoriale di salute mentale per la gestione degli stessi. Tra l’altro, ci riferiscono che nello stesso istituto lo psichiatra fa due accessi a settimana, assolutamente insufficienti per seguire i detenuti che ne avrebbero bisogno».
Un problema che persiste – concludono dal Sappe – «ormai dalla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, ovvero da quando tutto il disagio si è riversato nelle carceri, compresi, a volte, anche i soggetti prosciolti per incapacità di intendere e di volere che, se in custodia cautelare, continuano a permanere in carcere, com’è avvenuto a Rebibbia di recente, fatto per il quale la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia».