«Discrepanze» e non solo nelle indagini della Dda su Francesco De Cicco
Forti perplessità sono state espresse dalla Cassazione circa l'assunto accusatorio contro l'attuale assessore del comune di Cosenza
Sulla posizione di Francesco De Cicco, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione era stata molto chiara nell’evidenziare la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla contestazione della sua partecipazione all’associazione a delinquere finalizzata al “Gaming” e alla presunta intestazione fittizia di beni della sua attività situata in via Popilia, il cui titolare “di fatto”, per la Dda, sarebbe Mario “Renato” Piromallo, esponente di vertice della ‘ndrangheta cosentina.
Già nella fase cautelare, l’assessore del comune di Cosenza aveva ottenuto pronunciamenti favorevoli, prima con l’annullamento con rinvio e poi con la revoca della misura cautelare residuale dell’obbligo di dimora nel comune di Cosenza, dopo un periodo trascorso agli arresti domiciliari. La Cassazione infatti aveva sollevato più di un dubbio sulle motivazioni adottate dal tribunale del Riesame di Catanzaro circa i reati menzionati prima, arrivando a scrivere, relativamente ai reati contestati nell’ordinanza cautelare, che «si tratta di circostanze che, pur potendo essere riscontrate documentalmente, non sono state supportate, per verificarne la fondatezza, con visure camerali sulle società che vedevano la cointeressenze tra i soggetti indicati, anche tramite terzi, o quanto altro relativo alla natura, al luogo, al valore e all’oggetto delle attività commerciali sia di De Cicco che di Chiaradia e Orlando».
Gli ermellini si riferiscono anche «ai contratti di locazione delle slot machine, alle eventuali licenze e al tipo di attività per le quali erano rilasciate; all’alterazione delle schede, ai contratti di compravendita stipulati, per quali somme e a favore di chi, al fine di collocare correttamente i periodi di riferimento rimasti incerti».
Ma i giudici di legittimità sono andati anche oltre rilevando come vi siano state discrepanze anche rispetto alla durata di De Cicco nell’associazione, visto che la contestazione provvisoria decorre dal 2017. Discrepanze evidenziate nelle dichiarazioni rese da Silvio Gioia, le quali riportano come il rapporto tra il ricorrente e Chiaradia fosse cessato nel 2013. Confusa, secondo la Cassazione, anche la contestazione riguardo l’agevolazione mafiosa rispetto ai rapporti tra Chiaradia e Orlando e non solo. Per gli ermellini, circa il fatto che De Cicco fosse sotto usura da parte di Piromallo, non è chiaro se gli introiti derivanti da questo tipo di attività illecita fossero funzionali alla ‘ndrangheta, attraverso il deposito dei proventi nella cosiddetta “bacinella comune“, o se fosse un’operazione illecita in favore dei singoli, e quindi ai soli Piromallo e Chiaradia.
Infine, la Cassazione non è convinta neanche del fatto che De Cicco, mediante le motivazioni utilizzate dal primo Riesame, fosse davvero “prestanome” di Mario “Renato” Piromallo. «Il provvedimento non descrive gli elementi essenziali del fatto ai fini dell’integrazione della fattispecie» condotta di reato, in quando non si evince «da dove e da chi provengono le risorse economiche impiegate per il Circolo Ricreativo Popily Street, chi ne sia il titolari di diritto, dove si trovi e come si differenzi dall’omonimo bar, che attività vi si svolga all’esterno; se abbia la relativa licenza; se ne tragga utili; e in caso positivo, a favore di chi confluiscano». Basteranno, in tal senso, le dichiarazioni di Roberto Porcaro a sanare le lacune investigative? Staremo a vedere.