Porcaro e le estorsioni agli imprenditori «facoltosi» di Cosenza
Il collaboratore di giustizia parla di diversi atti intimidatori e fa i nomi di Francesco Greco e Armando De Vuono, Ma non solo
Il più delle volte decideva lui a chi piazzare una bottiglietta incendiaria a scopo estorsivo, in altri casi, pochi probabilmente, le vittime venivano individuate da soggetti “terzi”. Lo racconta Roberto Porcaro alla Dda di Catanzaro, in uno degli interrogatori resi prima dell’udienza preliminare di “Reset“, svoltasi tra l’aula bunker di Lamezia Terme e quella di Catanzaro.
L’ex boss degli italiani ha parlato di diversi capi d’imputazione, ammettendo le sue responsabilità. Ma con alcune precisazioni. A cominciare da quella contenuta al capo 11 della rubrica imputativa. «Intendo precisare che avevo dato l’ordine di provvedere alla collocazione della bottiglietta incendiaria a Francesco Greco. E’ stato Greco poi, di sua iniziativa, a farsi accompagnare nel compimento di tale attività da Armando De Vuono. In merito al mio ruolo di mandante – dichiara Porcaro – voglio precisare che in realtà tutto origina da un input» che gli sarebbe arrivato da un altro uomo «in quanto io inizialmente non sapevo neanche dove si trovasse la sede della società» da colpire per una estorsione di carattere prettamente mafioso.
«Ricordo in particolare» che il soggetto in questione «aveva la sua officina meccanica vicino alla sede della società» e «un giorno venne da me e mi propose di compiere un atto intimidatorio ai danni» dell’azienda «al fine di costringere i titolari a versare una somma a titolo estorsivo». L’uomo, secondo il collaboratore di giustizia, era convinto «che una volta compiuto l’atto intimidatorio il proprietario si sarebbe rivolto a lui per risolvere la questione» aggiunge Porcaro. «Ebbene se le cose fossero andate realmente così, rimanemmo d’accordo che io gli avrei versato una parte del provento estorsivo eventualmente ricavato dall’atto intimidatorio da me commissionato, se così fosse stato, avremmo diviso. Tuttavia, anche tale atto intimidatorio rimase un fatto isolato in quanto non avemmo contatti diretti con i titolari dell’attività commerciale e pertanto l’estorsione rimase allo stadio del tentativo».
Infine, Porcaro afferma che in riferimento al capo 10 dell’ordinanza cautelare, «voglio precisare che avevo deciso di compiere l’atto intimidatorio in quanto il titolare dell’attività è una persona particolarmente facoltosa» di Cosenza che ha diverse attività ristorative sparse tra la città dei bruzi e Rende.