Cosenza, i cinque cimeli “impossibili” da esporre nel museo del calcio
Dalla tuta di Montez alla catenina di Giansanti, galleria virtuale di oggetti e indumenti che hanno fatto la storia in rossoblù
La tuta del Grinta
Per i suoi calciatori faceva di tutto, persino il cameriere. Serviva loro i piatti in tavola, all’ora di pranzo, ma a una condizione: dovevano mangiare quello che diceva lui. Quando allenava l’Udinese, tolse dalla formazione un attaccante che si era rifiutato di mettere il sugo sulla pasta. La voleva al burro. Corrono i favolosi anni Sessanta, il periodo dei maghi alla Helenio Herrera o al suo omonimo Heriberto. E tra Accacchino e Accacone, a Cosenza ha inizio l’epopea dell’argentino Oscar Montez. Lo chiamano “Il Grinta”, come l’antieroe a cavallo interpretato da John Wayne. Del vecchio bandolero sovrappeso e un po’ stanco ha tutto, compreso il carisma. Che in quel periodo vale più di schemi e ripartenze.
Con lui al timone, il Cosenza sfiora il ritorno quasi immediato in serie B. E’ la squadra di Marmiroli, Mariani e Campanini. I sogni si sgretolano al fotofinish, dopo una sfortunata sfida all’Ok Corral con la Reggina di Tommaso Maestrelli, poi promossa al posto dei Lupi. Montez resta in città fino alla fine del decennio con una parentesi ulteriore a metà degli anni Settanta e un’altra, l’ultima, nel 1986, per salvare la squadra dalla retrocessione in C2. Missione compiuta e dopo un’esperienza a Viterbo e una Malta, sparisce dalle scene. Oggi ha 98 anni ed è ancora qui, da qualche nel mondo. Con la tuta sempre addosso, che attende solo una chiamata per montare ancora una volta a cavallo.