Francesco Passalacqua, identikit di un assassino seriale
L'uomo originario di Scalea è stato arrestato per un tentato omicidio nel Bolognese a 26 anni dall'orrore da lui seminato lungo la Riviera dei Cedri
Ventisei anni. Più o meno il tempo trascorso in cella da Francesco Passalacqua in ragione di quattro omicidi, da lui commessi tra il 1992 e il 1997, che gli sono valsi una doppia condanna – una a ventiquattro anni e l’altra all’ergastolo – diventata definitiva nel 2001. Preistoria quasi, tant’è che della sua ombre funesta quasi nessuno ormai si ricordava più. Si dava per scontato che trascorresse il suo tempo dietro le sbarre e che lo avrebbe fatto per il resto dei suoi giorni.
E invece no. Da un po’ di tempo a questa parte, come prevede la legge, aveva ottenuto la semilibertà. Era stato assegnato a una comunità in un paesino dell’Emilia, sull’Appennino bolognese, trovando ospitalità in una canonica. Ed è lì che a quanto pare, è tornato alla sua vecchia passione: l’aggressione a mano armata ai danni di vittime inermi.
Il suo nome è inserito negli annali della criminologia alla voce “serial killer italiani”. Quello di Passalacqua, è in ordine cronologico il trentesimo in una lista di trentasette, dopo Leonarda Cianciulli e subito prima di Donato Bilancia. Per la statistica, è l’unico assassino seriale censito in Calabria dal XIX secolo ai giorni nostri. All’epoca i giornali lo ribattezzano il “serial killer della Riviera dei cedri”. Definizione azzeccata perché il terrore, Passalacqua, lo semina proprio lì, nell’Alto Tirreno cosentino, in particolare nei centri montani di Verbicaro e Marcellina.
È in quest’ultimo paese che lascia il primo segno del suo passaggio. Il 16 marzo 1997, penetra nell’abitazione di Salvatore Belmonte, un agricoltore che vive in aperta campagna, e lo soffoca per sottrargli una pistola, la stessa con cui ucciderà le altre vittime. Tempo un mese, infatti, e a Verbicaro, sempre in una zona isolata, a cadere con tre colpi di pistola in testa è il pastore Francesco Picarelli.
I sospetti si concentrano subito su Passalacqua. Da Scalea si è trasferito a Verbicaro dove tutti lo considerano un po’ strano. Lo temono, anche in virtù di qualche precedente per furto, lesioni e rapina che lui stesso ostenta come medaglie da mostrare in pubblico. Alcuni sospettano anche un suo coinvolgimento negli omicidi dei poveri pastori. E quando a Belmonte e Picarelli si aggiunge anche una terza vittima, il pensionato Vito Resia, la paura si tramuta in terrore.
Il killer finisce di imperversare a novembre di quell’anno, quando i carabinieri riescono ad arrestarlo, contestandogli addirittura un quarto delitto, risalente però a cinque anni prima. Nel 1992, infatti, Mario Montaspro, autotrasportatore 45enne di Scalea, subisce una fine orribile: lapidato con una grossa base in pietra, di quelle utilizzate per tenere in piedi gli ombrelloni. Qualcuno gli fracassa la testa con ferocia inaudita e quel qualcuno è proprio lui, Passalacqua. Lo ammazza per sottrargli un po’ di denaro al termine di una serata conviviale durante cui lui e la vittima hanno bevuto tanta birra.
Messo alle strette, ammetterà le proprie responsabilità sia con riferimento all’uccisione di Montaspro che a quella degli altri tre. Gli inquirenti, però, non si accontentano. Non sono convinti che a delitti così efferati siano collegati moventi tanto banali: una vecchia arma, pochi spiccioli, nel caso di Picarelli addirittura qualche coniglio. Ipotizzano dei mandanti occulti, tretteggiano la figura di un sicario a pagamento, E di omicidi su commissione. Nell’inchiesta e poi nel processo vengono trascinate altri due uomini, sospettati di essere ispiratori di almeno due dei delitti. La Procura chiederà anche per loro l’ergastolo, ma saranno scagionati su tutta la linea.
E’ molto probabile che i giudici avessero ragione. Non c’era alcun mandante dietro i delitti di Passalacqua, solo un assassino che i periti del Tribunale definiranno “antisociale” e affetto da lieve disturbo cognitivo, ma nonostante ciò capacissimo di affrontare il giudizio. E di uccidere a sangue freddo. Un solo assassino e nessun altro. La dinamica della sua ultima prodezza vale quasi da conferma. Si è presentato al cospetto della sua nuova vittima in bicicletta e dopo aver inveito contro di lui gli ha rifilato due coltellate, per fortuna senza colpire organi vitali. Non lo aveva mai visto prima d’allora.