Cosenza-Catanzaro: la mia prima volta
A Parma, Caserta è riuscito a correggere un suo grosso limite: quello di non saper leggere le gare in corso. Dovrà essere bravo a farlo anche nel derby
Il passato e il futuro sono solo convenzioni. Tutto è presente e tutto converge nel presente, scandiva Francesco Repice nel suo Otto e nove fora maluacchiu mercoledì scorso al teatro Rendano. Lui sul palco, io coautore insieme a Francesco La Luna dietro le quinte, mi rendevo conto solo in quel momento dello scarto tra aspettative e realtà che si era prodotto.
L’idea di un radiocronista dalle origini cosentine, che torna nella sua città e racconta la storia di Denis Bergamini e Gigi Marulla, si fondava probabilmente su un’aspettativa precisa. Quella che Francesco Repice, benché sul palco, avrebbe fatto il “radiocronista”. E che magari avrebbe raccontato le gesta di Otto e nove come in una qualsiasi diretta di Tutto il calcio minuto per minuto.
Eppure, come dichiara De Gregori, è la gente che fa la storia. E uno di loro, alla vigilia del debutto, aveva riconosciuto per strada Repice come “quello di Otto e nove sui manifesti”, anziché come voce regina di RadioRai. Come se avesse già capito che, su quel palco, sarebbe avvenuta una trasformazione. Che cioè Francesco, col contrappunto essenziale di Claudio Dionesalvi, sarebbe diventato un meraviglioso storyteller – in una convergenza d’intenti tra “l’ultra” e “il cantastorie” che si compie solo nel finale. E che, insomma, la presenza “fisica” di Otto e Nove sul palco, grazie a Valerio Iovene e Daniele Palma, avrebbe reso tangibile la magia.
Che il passato e il futuro siano solo convenzioni lo dimostra la partita regina della stagione. Ovvero il derby. Vai a spiegare alla gente che questo match non lo aspetti né da novembre (quando al Ceravolo abbiamo perso) e nemmeno da agosto (quando uscirono i calendari) o da maggio. Lo aspettiamo dal 1985.
Io, per dire, un derby col Catanzaro non l’ho mai visto sugli spalti in vita mia. Quando ero piccolo, era mio padre a impedirmelo. Quando sono diventato grande, gli avversari erano sprofondati in C2. Quando gli incroci sono tornati possibili, io ormai vivevo lontano da Cosenza (e dunque, piccolo spazio pubblicità, “Lontano da me”).
In questi giorni, sui social, c’è stato chi ha evocato Alberto Aita, chi invece Piero Romeo. A ciascuno il suo. Perché il derby si svolge in una strana dimensione che è al tempo stesso personale e collettiva, ma entrambe precedono, anticipano, soverchiano quella sportiva. Io evoco mio zio Nello, che vedeva in me un bambino fin troppo educato e, davanti a mio padre, mi istigava a cantare i cori contro chirillà.
E oggi sarò allo stadio sperando in una consapevolezza altrettanto alta da parte di chi scenderà in campo con la maglia rossoblù. Un agonismo simile a quello visto al Tardini, dove i Lupi sono andati sotto dopo ottanta secondi e poi non solo hanno trovato la rete del pareggio, ma hanno pure sfiorato il colpaccio a casa della capolista. La sola conta dei legni, tra pali e traverse, (l’amico Edoardo Cozza la tiene con esasperante puntualità) è arrivata a sedici.
Vero è pure che il mister Caserta sa che, a Parma, la partita è svoltata quando gli undici in campo sono stati disposti in un 4-3-3 capace di garantire maggiore equilibrio. Ed evitare quelle imbucate che, per esempio contro la Samp, ci hanno punito forse oltre i nostri demeriti. Che è il vero rimprovero che mi sento di muovere al nostro tecnico: la sua capacità di preparare la gara è molto superiore a quella di leggerla in corso.
E questo è un rischio che, in un derby, non puoi permetterti di correre. Il derby è una partita che devi indirizzare, ringhiando, nei primi minuti – come, mi duole dire, sono riusciti a fare benissimo Iemmello e soci all’andata. Ma la gara d’andata era là. Questa si gioca al Marulla.
Si giocherà in uno stadio pieno, dove chi è solito guidare il tifo organizzato dovrà sapere trascinare gli occasionali (e farli diventare, se possibile, “permanenti”). Choc, pause e interruzioni come nel primo tempo contro la Samp, sullo 0-2, non sono ammissibili. Se ti senti perduto, voltati e mi troverai, cantava Cindy Lauper. E la squadra in campo deve poterlo fare in ogni istante dei novanta minuti.
E tutto questo convergerà nel presente, oggi, dalle 16.15. In realtà, da molte ore e giorni prima, perché il derby è vigilia permanente, è gravidanza e travaglio – sai che tuo figlio nascerà un certo giorno, e lo aspetti, ma poi te lo ritrovi tra le braccia in una sequenza di eventi rapidissimi, che non dimenticherai mai, proprio come accade con un gol. E permettetemi, a proposito di padri, di ribadire le mio origini. Sono Andrea Marotta, figlio di Ardigò da Corigliano e Mirella Grandinetti da Parenti, ma figlio pure di Telesio e di Padre Fedele (un padre enorme, sul cui nome in tanti dovrebbero sciacquarsi la bocca), di Aita e Cozzella, delle gioie piene e di quelle interrotte, figlio dei gradoni della curva e dei taccuini, della calamita della passione e del lavoro che sognavo da bambino, fare il giornalista delle radiocronache del Cosenza. E ho avuto l’onore di delegare quel sogno, mercoledì sera, al più grande radiocronista vivente e vedergli prendere forma davanti a un teatro pieno.
E oggi, tra pochi minuti, corono anche un altro sogno. Quello di vedere per la prima volta la partita che ho sempre desiderato vedere. E che ho sempre desiderato vincere. E che ho sempre desiderato vedere vincere.