venerdì,Luglio 11 2025

Nel processo Overture «non vi è prova dell’esistenza del gruppo Falbo»

Interventi conclusivi degli avvocati difensori che hanno tentato di ribaltare le accuse mosse dalla Dda di Catanzaro. Ora la parola passa al tribunale collegiale di Cosenza

Nel processo Overture «non vi è prova dell’esistenza del gruppo Falbo»

Le difese che partecipano al processo Overture sono convinto di una cosa: «Il gruppo dedito al narcotraffico, il cui promotore è Alfonsino Falbo, non esiste». La censura degli avvocati giunge alla fine delle discussioni che si sono concluse nella serata di ieri con l’intervento dell’avvocato Antonio Quintieri che in maniera concreta e diretta ha messo sul tavolo della Corte tutti gli elementi evidenziati dal pm Corrado Cubellotti, elogiato da quasi tutti gli avvocati per il suo modo di lavorare, ma ugualmente contestato nella ricostruzione accusatoria. È il gioco delle parti.

Tutti gli avvocati inoltre hanno fatto riferimento alla sentenza di secondo grado nei confronti di Sergio Raimondo, il quale è stato assolto dal reato di narcotraffico dalla Corte d’Appello di Catanzaro, in sede di rito abbreviato. Sentenza definitiva in quanto la procura generale non ha inteso impugnare il secondo giudizio di merito.

Laurato acquistava droga da tante persone

L’ultima udienza prima delle repliche del pubblico ministero si è aperta con l’ampia discussione dell’avvocato Gianpiero Calabrese, difensore di Vincenzo Laurato. Il penalista di Cosenza ha evidenziato tutti gli aspetti relativi all’associazione a delinquere dedita al narcotraffico che non avrebbe trovato terreno fertile in dibattimento. Ma l’arringa di Calabrese è stata interessante anche per il passaggio fatto sul teorema confederativo che la Dda di Catanzaro porta avanti a “Reset“.

Non esiste, secondo il legale, nessuna confederazione dei clan di ‘ndrangheta e dalle dichiarazioni dei pentiti emerge solo la circostanza che a Cosenza tutti possono spacciare droga purché la sostanza stupefacente venga acquistata nella città dei bruzi. Il cosiddetto “Sistema” è questo, ma in tal senso non vi è la prova della sussistenza in termini probatori della “bacinella” né del fatto che gli imputati accusati di far parte del sodalizio Falbo abbiano operato per favorirlo.

Il tema è stato approfondito proprio per la posizione di Laurato dichiarato quale assuntore di droga. Ciò ha permesso all’avvocato Calabrese di non negare tale emergenza ma di sottolineare che in realtà il suo assistito, per come emerso dal dibattimento, acquistava la sostanza da tante persone e questo avrebbe determinato una condotta diversa: quella di non aver “arricchito” la sospetta associazione di narcotrafficanti cosentini. Associazione che non dal punto di vista fattuale non esiste visto che ognuno tirava l’acqua al suo mulino. Ed allora, la tesi alternativa è eventualmente quella del concorso tra persone e non della sussistenza di un gruppo.

A proposito di Laurato, l’avvocato Calabrese ha evidenziato il fatto che il 23 novembre 2018, giorno del suo arresto ad opera dei carabinieri, alcuni degli indagati intercettati non erano a conoscenza di dove fosse l’imputato né lo sapevano i difensori, Calabrese e Ingrosso, che per capirne di più si recarono alla caserma di Cosenza Nord, dopo averlo cercato per mari e per monti. Il penalista ha concluso dicendo che Laurato ha pagato per quanto commesso, con un patteggiamento, e oggi non può essere più condannato.

La difesa di Alfonsino Falbo

Secondo l’avvocato Antonio Ingrosso, difensore di Alfonsino Falbo, il pm del processo “Overture” è giunto a una richiesta di condanna a 30 anni di carcere per il suo assistito solo attraverso le intercettazioni che non possono essere considerata come prova in quanto nel corso dell’istruttoria la pubblica accusa non ha portato in aula i necessari riscontri affinché il tribunale collegiale di Cosenza arrivi a una sentenza di colpevolezza per coloro i quali farebbero parte dell’associazione a delinquere dedita al narcotraffico.

Il difensore del principale imputato ha analizzato nel dettaglio anche le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, come Giuseppe Zaffonte, Celestino Abbruzzese “Micetto”, Luciano Impieri e tanti altri. I pentiti hanno confermato di conoscere o di sapere chi fosse Falbo, ma si tratta di circostanze che si fermano al 20142015, periodo non contestato dalla Dda di Catanzaro. L’indagine “Overture” infatti emerge nel 2020, qualche settimana prima che scoppiasse la pandemia Covid, ma i fatti risalirebbero al contesto criminale che va dal 2016 al 2019. Sempre un altro pentito, dal punto di vista di Ingrosso, ha negato che esistesse un gruppo Falbo. Parliamo di Alberto Novello, che ha fatto un passo indietro rispetto al percorso collaborativo. Da anni è uscito dal programma di protezione. Novello aveva riferito che ognuno investiva i propri soldi per acquistare la droga nell’area urbana di Cosenza.

L’ex collaboratore aggiungeva, secondo la prospettazione difensiva, che Alfonsino Falbo non aveva avuto rapporti di alcun tipo con Riccardo Gaglianese, già condannato in via definitiva in “Mater” e “Apocalisse“. E questo farebbe venir meno il teorema associativo. L’avvocato ha concluso che se venisse provata l’esistenza dell’associazione si potrebbe ipotizzare a quel punto “un’Armata Brancaleone“, la quale non ha mai attivato i suoi canali per il sostentamento in carcere dei suoi presunti adepti né ha mai scelto i legali da affiancare ai rispettivi indagati, come nel caso di Giuseppina Carbone, poi difesa dall’avvocato Fabio Parise. Fatto richiamato anche dall’avvocato Maurizio Nucci nella sua discussione.

Le altre discussioni sul capo associativo

Dopo una breve sospensione, il presidente Carmen Ciarcia (giudici a latere Stefania Antico e Iole Vigna), ha dato la parola all’avvocato Giovanni Cadavero, difensore di Massimo Imbrogno, alias “Canaletta“, il secondo imputato più importante se ci riferiamo al capitolo del presunto narcotraffico. Ed allora l’avvocato ha esposto le sue ragioni a fondamento della non esistenza del gruppo associativo. Tesi non dimostrata dalla pubblica accusa nonostante gli esami dibattimentali dei testi di polizia giudiziaria. La cosiddetta “droga parlata“, in questo caso, non basta a sostenere l’assunto della Dda. A seguire la discussione dell’avvocato Cesare Badolato in riferimento alla posizione di Manuel Forte. Anche qui, il difensore ha negato l’esistenza dell’associazione, escludendo dalla stessa l’imputato cosentino. Il penalista si è basato sia sull’istruttoria dibattimentale che sulle massime giurisprudenziali che illustrano le condotte che dovrebbe tenere un partecipe all’interno di un sodalizio, cosa che non riscontrata in “Overture“.

Sul capo 1 ha discusso anche l’avvocato Maurizio Nucci, difensore di Giuseppina Carbone, descritta dal legale come una donna non dedita al crimine, che ha pagato a caro prezzo l’unico errore commesso nella sua vita, sia dal punto di vista morale che giuridico. L’imputata nel periodo in cui fu arrestata dai carabinieri non viveva un bel momento. Una debolezza l’occultamento della marijuana nella sua abitazione con la disperata ricerca di un legale che potesse difenderla. Ed è qui che l’avvocato Nucci fa emergere come l’associazione, che anche secondo lui non esiste, non abbia avuto nessun ruolo nella vicenda, tant’è vero che Carbone venne difesa dall’avvocato Fabio Parise. Con Massimo Imbrogno, tra le altre cose, c’era un’amicizia di vecchia data, veniva visto come uno di famiglia e nell’abitazione dell’imputata l’uomo non ha mai portato alcunché che facesse pensare a sostanza stupefacente. La donna dunque non ha avuto altri contatti, neppure con Alfonsino Falbo.

Infine, l’avvocato Antonio Quintieri per le posizioni di Riccardo Gaglianese e Cesare Quarta. Il penalista, chiudendo le arringhe giornaliere, ha acceso i riflettori sulla vita dei suoi assistiti, definiti senza giri di parole come “drogati”, ma estranei dal presunto contesto associazione. Per varie ragioni. Su Gaglianese, l’avvocato Quintieri ha focalizzato l’attenzione sul fatto che dal 2012 in poi è stato sempre detenuto, prima in “Mater” poi in “Apocalisse“. E anche quando era agli arresti domiciliari avrebbe continuato ad assumere sostanza stupefacente a causa di una patologia ormai diventata cronica.

Tuttavia, ha precisato, che nel corso delle perquisizioni effettuate presso l’abitazione di Gaglianese le forze dell’ordine non hanno mai rinvenuto droga o denaro in contanti né un macchinario per preparare le rispettive dosi. Il legale ritiene che “Overture” dovesse rientrare nelle facoltà investigative della procura ordinaria, ma se si parla di “droga parlata” si commette un errore giudiziario. Novello? «Sembra la storia di Pinocchio», visto che «ha detto tutto e il contrario di tutto». Il difensore ha poi aggiunto che già il gip di Catanzaro aveva escluso il capo 1 a Gaglianese.

Il filone investigativo dedicato a Gianfranco Sganga

Overture” non tratta, com’è noto, solo il supposto gruppo Falbo, ma ha tenuto alta l’attenzione anche su alcuni reati – estorsione e tentata estorsione aggravati dal metodo mafioso – attribuiti a Gianfranco Sganga ed altri soggetti che avrebbero agito per conto suo. C’è da dire che la principale accusa – quella dell’associazione mafiosa – era già caduta al Riesame di Catanzaro, tanto da costringere la pubblica accusa ad estrometterla dalle contestazioni portate in dibattimento, via udienza preliminare. Così, le due discussioni conclusive sul tema sono state ad opera dei difensori Filippo Cinnante e Maurizio Nucci, entrambi legali di fiducia di Sganga.

Le due arringhe sono state articolate in vari punti. Nella prima parte l’avvocato Cinnante ha ripescato la decisione del Riesame sul reato associativo e soprattutto la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che in secondo gravo aveva ridimensionato la posizione di Emanuele Apuzzo, escludendo l’aggravante mafiosa dalla presunta tentata estorsione ai danni di una ditta che stava eseguendo i lavori presso l’Università della Calabria. L’avvocato Cinnante ha anche sottolineato che nelle tre contestazioni mosse a Sganga, l’imputato compare soltanto una volta, quella relativa all’azienda che si adoperava per migliorare la struttura dell’Unical.

Nelle altre due – Spezzano Sila e ospedale di Cosenza – gli elementi probatori non risultano affatto sufficienti per pervenire a una sentenza di colpevolezza atteso che non vi è certezza che quel “Gianfranco di San Vito“, abbia realmente intimidito i titolari attraverso altri interlocutori. Manca, secondo il difensore Cinnante, l’alone di intimidazione diffusa che dovrebbe caratterizzare la sussistenza dell’aggravante, la quale non si evince da nessuna parte, nemmeno quando Sganga incontra l’imprenditore Unical, al quale non chiede il cosiddetto “regalo“, ma se eventualmente poteva acquistare del materiale o assumere qualcuno che aveva bisogno di lavorare. Frasi estrapolate in seguito dall’avvocato Nucci, nella seconda parte del suo intervento.

Sul caso della presunta violenza privata ai danni di un uomo di Castrovillari, costituitosi parte civile con l’avvocato Domenico Lo Polito, sindaco della città del Pollino, secondo Cinnante non si desume il coinvolgimento del suo assistito, il quale, durante la fase processuale, ha assunto un atteggiamento collaborativo al punto di meritare il riconoscimento da parte del tribunale collegiale di Cosenza delle circostanze attenuanti generiche.

Ed eccoci all’intervento dell’avvocato Maurizio Nucci, secondo cui, Gianfranco Sganga non è l’ombelico del mondo e non deve rispondere di condotte altrui, essendo stato per due terzi “latitante” dalla piattaforma probatoria. Per il penalista, nella vicenda Unical non c’è alcun metodo mafioso. Nelle intercettazioni spuntano fuori frasi come “ci date una mano sempre se siete disponibili“, in riferimento alle richieste formulate da Apuzzo. Insomma, un contesto, quello argomentato da Nucci, che non prevede alcuna connessione con i tratti caratteristici dell’ex articolo sette. Per tali motivi, il difensore ha illustrato le ragioni che dovrebbero portare all’assoluzione da quasi tutti i capi d’accusa ed eventualmente all’esclusione di recidiva e alla concessione delle circostanze attenuanti rispetto all’unico fatto in cui compare fattivamente l’imputato.

Le restanti posizioni

Infine, Nucci ha difeso anche Luca Imbrogno, mentre nel pomeriggio era toccato all’avvocato Natasha Gardi esporre le proprie censure ai giudici di Cosenza rispetto alle posizioni di Carmine Lio, Francesco Amendola, Umberto Mazzei e Silvio Donato, il famoso “Zio Silvio” di Camigliatello Silano. Nel caso di Carmine Lio, l’avvocato ha parlato chiaramente di un errore giudiziario, in quanto lo stesso, nel momento dell’incontro tra Sganga e l’imprenditore che lavorava all’Unical, era solo di passaggio e stava consumando una bibita al bancone.

Secondo la penalista, invece, Francesco Amendola non era materialmente in possesso dell’arma, visto che la Dda gli contesta la detenzione, mentre Umberto Mazzei era soltanto a conoscenza del fatto che qualcuno si stesse adoperando per rubare materiale utile alla ristorazione, ma nel caso in esame manca la condotta nel capo d’imputazione. Dulcis in fundo, Silvio Donato. Anche qui, secondo la difesa, manca la condotta relativa a un furto perpetrato a Cosenza e i presunti concorrenti nel reato, nella fase organizzativa e post-organizzativa, non avevano neanche il numero dell’imputato, il quale si era ripromesso di comprare quegli attrezzi previa fattura. Il prossimo 23 aprile il pm Corrado Cubellotti farà le sue repliche. Al termine, il tribunale collegiale entrerà in Camera di Consiglio per emettere la sentenza di primo grado.

Le richieste di condanna della Dda di Catanzaro

  • Alfonsino Falbo chiesti 30 anni
  • Massimo Imbrogno chiesti 22 anni
  • Massimo Fortino chiesti 2 anni
  • Vincenzo Laurato chiesti 18 anni
  • Giuseppina Carbone chiesti 12 anni e 4 mesi
  • Gianfranco Fusaro chiesti 16 anni e 2 mesi (clicca su avanti per leggere i nomi degli altri imputati)

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