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L’impresa, due calabresi conquistano la vetta del monte Ararat – VIDEO

Due sportivi calabresi hanno scalato la vetta del monte Ararat in una spedizione avventurosa che uno degli esploratori ha raccontato in un diario

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Alcuni giovani, un calabrese e due lucani, hanno compiuto un’impresa degna di nota. La mattina del 7 luglio scorso sono arrivati in cima al monte Ararat, al confine tra Turchia e Armenia. La bufera di neve e le condizioni climatiche proibitive non hanno fermato la scalata, culminata a un’altezza di 5.137 metri alle 6.28 del mattino. I coraggiosi scalatori sono Francesco La Gatta, calabrese di Praia a Mare, e i potentini Miriam Gioia, di Latronico, e Giuseppe Limongi, che invece risiede a Lauria. Insieme ai tre ragazzi italiani c’è un giovane di origini curde. Il quartetto si è avventurato insieme a un secondo gruppo composto da giovani provenienti dalla Polonia.

Dal diario di Francesco

Francesco La Gatta, 43enne calabrese, appassionato di sport e natura, sta scrivendo in questi giorni una sorta di diario per appuntare sensazioni ed emozioni di questa impresa. Alla nostra redazione affida la pagina del terzo giorno di viaggio, che li ha poi visti conquistare la cima del monte Ararat. 

«Vorrei poter cominciare con le parole “Al risveglio…” ma non posso, in quanto non c’è stato, nemmeno stavolta, un minuto di sonno – comincia il suo racconto -. All’ora stabilita la guida curda ci sveglia (si fa per dire) e annuncia: “We have a problem”. In effetti non si può dargli torto. In base al piano A (non esiste nessun piano B), in caso di “wind problem” si annulla! Ci mettiamo nelle tende, sconsolati. Dopo venti minuti si vede un’altra spedizione che parte, mi metto a gridare: andiamo, si va in cima. E così avviene. È ancora buio fondo, è l’una è trenta, e ci si incammina su in fila indiana con le torce frontali. Della monotona salita nel buio ricordo pochi dettagli, se non la concentrazione e la fatica, causate non tanto dalla difficoltà o dalla quota, quanto dalle folate implacabili. Alle luci dell’aurora Giuseppe mi dice che siamo sopra la quota del Monte Bianco.

Ormai si sta facendo chiaro e sta per cominciare il tratto ghiacciato della salita: gli ultimi 300 metri di dislivello sul cupolone glaciale, un vento fortissimo e le nuvole che scorrono sotto fortissime. ‘Sto vento che non ha pietà di noi: è quasi impossibile. In quest’ultimo tratto il gruppo si disunisce e ognuno sale col passo che le proprie forze e il proprio allenamento gli consentono. Solo nel primo tratto bisogna camminare a rispettosa distanza da un baratro che si spalanca sulla destra, ma presto la pendenza si fa più dolce. Ed eccoci sul tetto di Armenia e Turchia, più lontano l’Iran. Due di queste svettano sulle altre: quella a destra è la cima. Un’ultima rampa nevosa, e ci siamo».

La conquista della vetta

«Monte Ararat, 5.137 metri. Ci abbracciamo, non riusciamo a parlare. Scende una piccola lacrima che mi si ghiaccia. Non c’è nulla, se non un palo piantato di traverso. E, soprattutto, il nulla è sopra di noi e intorno a noi. Sulle vette delle Alpi, si è comunque circondati da un’infinità di profili di monti. Qui, da nulla. Infatti le montagne alte più vicine, e cioè il Grande Caucaso, distano centinaia di chilometri. Tutt’intorno si indovina appena l’altopiano al di sotto della coltre di foschia giallastra. La maggior fatica della giornata, però, ci attende ancora: in discesa non sono previsti bivacchi, per cui tocca percorrere in un’unica tirata i 3000 metri di dislivello compiuti nei tre giorni di salita. Al campo 2, dove avevamo previsto una sosta, veniamo sorpresi da una bufera che ci dà solo il tempo di fare pipì a cielo aperto e nemmeno dieci minuti di riposo. Si scende al campo 1, con raffiche impressionanti, ma ci si gode la soddisfazione della vetta raggiunta».

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