domenica,Settembre 15 2024

Il vizio di delinquere, un “libro nero” dei pentiti di ‘ndrangheta a Cosenza

Le storie dei collaboratori di giustizia sorpresi a commettere reati anche dopo aver voltato le spalle al loro ambiente criminale di riferimento

Il vizio di delinquere, un “libro nero” dei pentiti di ‘ndrangheta a Cosenza

Pentiti della ‘ndrangheta di Cosenza che finiscono nei guai per amore dell’antico vizio: il crimine. Un elenco nutrito e destinato ad allungarsi nel caso in cui, in futuro, dovesse trovare conferma il memoriale shock di Pierluigi Terrazzano. In attesa di sapere se è davvero così, ripercorriamo le storie di chi, in precedenza, è inciampato in disavventure analoghe.

Pentiti Cosenza, un recupero crediti

L’ultimo caso risale al 2015 e riguarda Roberto Calabrese Violetta, sorpreso mentre tenta di recuperare dei soldi dati in prestito a tassi usurai. Una macchia che in seguito gli varrà la patente di inaffidabilità nel processo per l’omicidio di Carmine Pezzulli. Quindici anni prima di lui, lo stesso sospetto piove addosso a Franco Garofalo, pezzo grosso del vecchio clan Perna da lui abbandonato nel 1996.  All’epoca, fra le condizioni da lui poste per collaborare con la giustizia c’è anche il recupero di alcuni capitali prestati a strozzo a tre imprenditori cosentini. Qualcosa, però, va storto. Uno di loro, infatti, lo denuncia alla Dda. E il pentito, in seguito, si beccherà una condanna a cinque anni per usura.

La rapina, poi l’omicidio

Più fulminante, invece, la nostalgia criminale di Carmine Cristini, al secolo “Il professore”, autodefinitosi così in ossequio a malcelate simpatie cutoliane. Cristini, ex rapinatore poco più che ventenne, comincia a collaborare a settembre del 2006, facendo ritrovare agli inquirenti alcune armi da guerra di proprietà della cosca Calvano di San Lucido. Pochi mesi più tardi, però, si mette in testa di svaligiare una banca di Pescara. Colpo riuscito in verità, ma durante la fuga, il giovane perde il telefonino, poi ritrovato dai carabinieri che, nel giro di qualche ora lo arrestano. Anni dopo, un Cristini ormai allo sbando, farà persino di peggio, arriverà a macchiarsi di un omicidio: quello del suo vecchio amico Stanislao Sicilia.

Pentiti Cosenza, «lei non sa chi sono io»

Capitolo a parte per il superboss Franco Pino che alle innumerevoli condanne per omicidi ed estorsioni, ne aggiunge una a due anni di carcere per diffamazione incassata quand’era già collaboratore di giustizia. Poca cosa rispetto al pasticcio in cui, nel 2007, finisce l’ormai defunto Pierluigi Berardi alias “Ciciariaddru”, pure lui artista della rapina a mano armata, convertitosi alla causa della legge durante il processo “Missing” in cui era accusato di omicidio. Due anni dopo aver cambiato vita, Berardi torna alle vecchie abitudini, assaltando un chioschetto nei pressi della stazione di Verona. Acciuffato pochi minuti dopo, ingaggia una furiosa lotta con i poliziotti. «Sono un collaboratore di giustizia, vi faccio trasferire tutti» azzarda quella volta Ciciariaddru, ma non riuscirà a evitare le manette.

Da contabile a scippatore di vecchiette

Inglorioso, invece, l’epilogo per Maurizio Giordano, ex spacciatore autoproclamatosi “contabile” del clan Perna-Le Piane, organizzazione di cui, probabilmente, aveva sentito parlare solo lui. Accadeva del 2008 e, un anno dopo, pur essendo sotto protezione dello Stato, torna in cella per aver scippato la borsa a una vecchietta in un parco. In verità, il nostro si giustifica così: «Aspettavo una donna sposata con cui ho una relazione. Poi è arrivato un ragazzo che conosco, un marocchino, e mi ha chiesto da accendere proprio nel momento in cui passava una pattuglia della polizia. Sapendo che l’immigrato era anche un piccolo spacciatore ho pensato di dileguarmi, invece ci hanno fermato tutti e due e viene fuori che lui aveva appena fatto uno scippo. Gli hanno trovato tutta la refurtiva addosso e ci hanno arrestati».

La truffa che inguaiò Umilicchio

Il 2012, invece, è un anno disgraziato per Umile Arturi, il «più criminale» del clan Pino per definizione del suo ex capo. A settembre, infatti, Umilicchio torna in carcere a causa di alcune denunce contro un suo familiare, reo di aver commesso delle truffe assicurative. Truffe, assicurano i denuncianti, di cui era a conoscenza anche lui. In quei giorni, Arturi sconta ai domiciliari i diciannove anni incassati nell’ambito del processo “Luce”, ma a seguito di quella vicenda, il Tribunale di sorveglianza gli revoca il beneficio costringendolo così a proseguire la detenzione dietro le sbarre. Dal 2011, inoltre, c’è un altro pentito, Francesco Galdi, che tra le altre cose, sostiene di aver avuto a che fare con lui nel corso dell’ultimo decennio e lo accusa di aver continuato a delinquere anche nei nuovi panni da collaboratore di giustizia, mantenendo contatti stretti con alcuni vecchi “compagni d’arme” giù in Calabria. Su quel fronte, però, le sue affermazioni resteranno prive di riscontro.

Lettere e affari

Ultimo, ma non in ordine di importanza, il caso di Antonio Di Dieco. Già capo della ‘ndrina di Castrovillari, poi collaboratore di giustizia, torna in carcere nel 2010 a causa di una lettera dal contenuto sulfureo, inviata a un boss reggino e rinvenuta sul suo computer. Qualche mese prima, però, Di Dieco era stato estromesso dal programma di protezione perché sorpreso a intrattenere rapporti, anche di tipo economico, con un suo ex picciotto, quel Cosimo Scaglione pure lui transitato, per un periodo, nelle fila dei collaboratori di giustizia.  Croce e delizia. Più croce che delizia, forse. Sono i pentiti di ‘ndrangheta a Cosenza. Storie tormentate le loro, che, messe a sistema, costituiscono un capitolo centrale del romanzo criminale bruzio. Non il capitolo più importante, ma di certo quello più oscuro.

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