giovedì,Gennaio 16 2025

Scalea, armi e violenza per difendere la rete criminale: «A chi si comporta male, gli rompiamo le ossa»

Chi parlava troppo, chi non pagava i suoi debiti, veniva aggredito con violenza. In una occasione, un uomo è stato costretto a ricorrere alle cure ospedaliere

Scalea, armi e violenza per difendere la rete criminale: «A chi si comporta male, gli rompiamo le ossa»

Dall’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro riguardante l’area del Tirreno cosentino, emerge un quadro agghiacciante. I quindici indagati, quattro dei quali attinti dalla misura cautelare in carcere, avrebbero messo in piedi una piazza di spaccio di droga con centro operativo a Scalea servendosi di minacce e intimidazioni per mantenere il controllo. Uno degli arrestati, intercettato dalla polizia giudiziaria, diceva ai suoi sodali: «A chi si comporta male, gli rompiamo le ossa». E, in effetti, chi parlava troppo, chi non pagava i suoi debiti, veniva aggredito con violenza. In una occasione, un uomo è stato costretto a ricorrere alle cure ospedaliere.

L’operazione giudiziaria è scattata all’alba di ieri mattina e ha visto impegnati sul campo i Carabinieri della Compagnia di Scalea, con il supporto del personale delle Compagnie dei Carabinieri territorialmente competenti. Ad ogni modo, va ricordato che tutti gli indagati sono da ritenersi innocenti fino all’eventuale condanna definitiva.

Droga, armi e risse

I reati contestati sono spaccio, detenzione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi da sparo e lesioni personali aggravate dal metodo mafioso. Dal quadro accusatorio emerge che la droga a arrivava a Scalea tramite due canali di approvvigionamento aperti su Napoli e Cetraro. Poi lo spaccio vero e proprio avveniva alla periferia della città, nei pressi dell’abitazione di uno degli indagati, in una zona molto frequentata d’estate ma deserta e isolata durante il periodo invernale. La presunta banda criminale avrebbe creato una fitta rete di collegamenti, da difendere con l’utilizzo di armi e di violenza, con l’intento di cedere massicce quantità di droga, per lo più cocaina. Le pistole erano a disposizione di qualsiasi componente del gruppo.

Il vano tentativo di eludere le intercettazioni

Gli odierni indagati sapevano bene di essere nel torto ed erano molto attenti a utilizzare un linguaggio in codice che, secondo loro, potesse eludere un potenziale sistema di intercettazioni. Ma era tutto inutile. I termini standard utilizzati ripetutamente nel tempo e sempre seguiti da episodi di spaccio, hanno polverizzato ogni tentativo di passare inosservati. Qualcuno ordinava spesso «una pizza» per la sera, da ricompensare con un vassoio di «sfogliatelle». Per gli inquirenti, i consumatori ordinavano invece della cocaina da pagare con soldi in contanti al momento della cessione. Ancora più curioso è il caso dei termini “bambino” o “adulto” per indicare la somma disposti a spendere per l’acquisto di droga, 70 o 90 euro, o per indicarne i grammi.

Le intimidazioni

Nelle carte firmate dal Gip, emergono anche due episodi inquietanti. In un’occasione, uno degli indagati avrebbe avuto una lite furibonda con un consumatore abituale che aveva accumulato dei debiti e non era disposto a pagare. Tra i due sarebbero volate parole grosse e sarebbero arrivati anche alle mani. Un affronto che il componente della banda non avrebbe mandato giù. Così, quest’ultimo si sarebbe recato a casa di uno dei capi a prendere la pistola, poi sarebbe tornato dall’uomo per riprendere la lite. Infine, avrebbe esploso un colpo di pistola in aria per incutergli timore e dimostrargli che dalle parole si sarebbe potuti passare ai fatti. In un secondo distinto episodio, gli inquirenti registrano una vera e propria spedizione punitiva nei confronti di un giovane, pestato selvaggiamente e costretto a ricorrere alle cure ospedaliere.

Secondo la ricostruzione, quattro indagati avrebbero organizzato il pestaggio munendosi di mazze e tirapugni. C’era anche l’immancabile pistola, «quella grigia», ma solo per fini dimostrativi («lasciatela stare che è carica»). Poi i quattro si sarebbero recati nell’abitazione della vittima e avrebbero portato a termine il disegno criminoso mandando la vittima designata in ospedale, non prima di aver esploso, anche stavolta, un colpo di pistola in aria.

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