Processo Reset, imputata assolta dall’accusa di corruzione: «Sentenza mi ha restituito dignità di cittadina»
Maria Rosaria Ceglie ricostruisce con amarezza la vicenda giudiziaria di cui è stata protagonista: «Nessuno potrà mai restituirmi ciò che mi è stato tolto»
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Maria Rosaria Ceglie, originaria di Paola, imputata nel processo Reset e assolta con formula piena “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di corruzione. Una vicenda giudiziaria durata due anni e cominciata con la misura degli arresti domiciliari.
«In questi due anni io, già fortemente provata da gravi perdite familiari, mi sono vista crollare il mondo addosso. Mi fa rabbia il fatto che siano state messe in discussione la mia onestà e la mia integrità morale, valori per me imprescindibili, che mi sono stati trasmessi con amore dai miei genitori, e che ho sempre portato avanti tanto nella vita privata quanto, soprattutto, in quella professionale.
Mi fa rabbia che la Società per la quale ho lavorato con dedizione per tanti anni – Invitalia S.p.A. – mi abbia immediatamente voltato le spalle, sposando sin dal primo giorno la tesi accusatoria della Procura, e non tenendo in nessun conto l’irreprensibilità del mio comportamento professionale, attestato anno per anno dalle valutazioni estremamente positive ricevute dai miei responsabili sul posto di lavoro.
Mi fa rabbia essere stata esposta al pubblico ludibrio, con articoli di stampa e servizi giornalistici dal tono sensazionalistico sul mio conto all’indomani dell’arresto senza alcun rispetto della dignità individuale. Questa sentenza mi ha restituito la dignità di cittadina onesta, e lo ha fatto nel più breve tempo possibile per la giustizia italiana, grazie a tre scelte di fondamentale importanza condivise con i miei legali di fiducia, i quali hanno fatto loro questo caso trascendendo il lato professionale e sposando quello affettivo e umano: quella di rispondere all’interrogatorio di garanzia immediatamente dopo il mio arresto; di rivolgerci comunque al tribunale del riesame di Catanzaro nonostante già il Gip avesse modificato la misura degli arresti domiciliari con l’obbligo di dimora, con una motivazione che però non ci aveva soddisfatti; di scegliere il rito abbreviato per accelerare la tempistica del primo grado di giudizio.
Nonostante ciò, tutto quel che mi è stato tolto in questi due anni, nessuno potrà più restituirmelo: e proprio per tale ragione affermo con convinzione che coinvolgere una onesta cittadina italiana, incensurata, in un processo di mafia, è un qualcosa che non dovrebbe avvenire con così tanta facilità. Le conversazioni captate mediante le intercettazioni, che sono uno strumento indispensabile per la giustizia, devono essere poi correttamente interpretate, perché, se così fosse stato fatto nel mio caso, si sarebbe immediatamente compresa la portata inverosimile delle contestazioni addebitatemi. Mi piacerebbe che la mia vicenda possa costituire un esempio affinché nessuno debba più subire ciò che ho subito io».