giovedì,Febbraio 13 2025

Il Natale arbereshe: riti e antiche tradizioni anche a tavola

Tra le pietanze tipiche, i “fillilet”, una pasta lavorata col ferro di calza in modo da poter accogliere il sugo. Altre paste tipiche fatte in casa portano i nomi di “rrashkatjelet”, “dromësat”, “shtridhëlat”

Il Natale arbereshe: riti e antiche tradizioni anche a tavola

Paese che vai, usanza che trovi. E così, anche la festa del Natale si dirama in usi e costumi diversi a seconda dei luoghi. Spesso cambia poco, a volte solo i nomi dati alle stesse tradizioni, e poi ci sono invece tradizioni particolari, figlie di una storia che ha radici altrove. È il caso, per esempio, dei paesi arbëreshe della provincia, dove sopravvivono gli echi di una cultura approdata qui ormai secoli fa e mescolatasi a quella locale. Alcune sono usanze – per giocare un po’ con le parole – ancora “in uso”, altre sono scomparse ma si perpetuano grazie ai ricordi e ai racconti dei più anziani.

Il profumo della festa si diffonde già a partire dal 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. I giorni che separano dal Natale vero e proprio vengono presi come misura dai contadini per fare le previsioni meteo del nuovo anno. Si tratta dei cosiddetti giorni “cuntati”.

I dolci tradizionali

Il profumo della festa, dicevamo. E di profumo vero si tratta visto che in questo periodo iniziano anche i preparativi dei dolci tipici natalizi: quinullilet, krustulit, xhurxhullena, turdilet, petullat, krispelet, kanaritulat, kanalletat, skallilet. Uno dei momenti più attesi per le comunità albanesi della zona del Pollino è proprio quello della preparazione dei dolci: petullat o krispelet, morbide frittelle a forma di ciambella, ottenute con pasta lievitata fritte in abbondante olio; kanarikullat, una sorta di cannoli di pasta sfoglia impastata col vino, fritti e poi cosparsi di miele; xhurxhullet o xhurxhullinat, una specie di torrone ottenuto da un impasto di miele, semi di sesamo e mandorle; bukunotet, ripieni di marmellata, di mostarda o di ricotta; kanaletet, a base di farina e uova e a forma di scaletta, dopo la cottura viene spolverato con zucchero; krustulit, a forma di enormi gnocchi, preparati come le kanallete, ma cosparsi di miele.

Falconara Albanese, un’antica tradizione vuole che il capo famiglia presiedesse alla frittura delle krispele, reggendo il manico della padella, mentre la padrona di casa calava nell’olio bollente la pasta lievitata. A San Benedetto Ullano – oltre ai dolci fritti in padella a base di farina, tuorli d’uova, zucchero, miele, farinaccio – si confezionano pani speciali fatti in casa (natallizet) dalle forme diverse, rappresentanti pupazzetti in atteggiamenti curiosi, e due pani rappresentanti il Capodanno (kapudhani) e l’Epifania (Befania), che vengono conservati e consumati esclusivamente per le due occasioni. A Firmo il dolce tipico di Natale è la çiçirata, a base di farina, uova e un pizzico di sale: impastato con le uova, si lavora la pasta, ricavando dei bastoncini che vengono poi tagliati come piccoli ceci.

E i dolci sono un po’ il corrispettivo dei giorni “cuntati” in versione culinaria: dalla loro riuscita, infatti, si traggono gli auspici per la salute delle persone. E alla tradizione s’intreccia la solidarietà e il senso di comunità, in gran parte andato ovunque perso nel tempo: alle famiglie colpite da lutti nel corso dell’anno i dolci natalizi vengono portati da amici e vicini di casa.

La cena della vigilia e la messa

Dolce dopo dolce, si arriva alla cena della vigilia, tradizionalmente a base di pesce. Tredici – in alcuni paesi nove – le pietanze da consumare. Tra quelle tipiche, i “fillilet”, una pasta lavorata col ferro di calza in modo da poter accogliere il sugo. Altre paste tipiche fatte in casa portano i nomi di “rrashkatjelet”, “dromësat”, “shtridhëlat”. Per quanto riguarda i secondi, seguendo la tradizione di pesce, sulle tavole si trovano “ngjalë” (anguille) e “bakalla” (baccalà). Ma c’è chi opta per il capretto arrostito assieme a patate o legumi, gratinato con pecorino e pangrattato.

Dopo la cena, è il momento della messa. Molto suggestivi i riti che sopravvivono in alcuni centri dove nel sagrato della cattedrale, poco prima della celebrazione, si dà fuoco a una catasta di legna e frasche dando vita al “focolare di tutti”, attorno al quale si intonano i tipici canti detti “vjersh”. In passato, il giorno dopo il falò i contadini raccoglievano la cenere e la conservavano per poi spargerla nell’aria durante i temporali, per fermarli e impedirgli di distruggere il raccolto.

Particolare la messa a San Demetrio Corone, dove il sacerdote (il papàs nel rito greco), all’inizio della funzione gira per tre volte attorno ai fedeli con la statua del Bambino Gesù tra le braccia. A lui si accodano i papà dei bimbi nati durante l’anno, ciascuno reggendo in alto il proprio piccolo.

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