venerdì,Febbraio 14 2025

La «motivazione apparente» su Giovanni Riina non è un mero vizio di forma

Il 41 bis non è una misura punitiva aggiuntiva, ma ha una ratio prettamente precauzionale che serve ad evitare, appunto, che un detenuto pericoloso possa continuare ad esercitare anche dal carcere il proprio potere all’esterno

La «motivazione apparente» su Giovanni Riina non è un mero vizio di forma

Il figlio di Totò Riina, Giovanni, arrestato nel ‘96 e detenuto al regime del 41 bis dal 2002, si è visto accogliere dalla Cassazione, con rinvio, il ricorso presentato contro la proroga da parte del ministero della Giustizia del carcere duro.

È la prima volta che la Suprema Corte accoglie il suo ricorso: negli anni di detenzione il regime carcerario è stato sempre rinnovato e confermato ogni biennio, nonostante la sua posizione di vertice all’interno di Cosa nostra non sia mai stata accertata.

In poche parole i giudici, dopo 23 anni, esaminando il ricorso del detenuto, hanno ritenuto «meramente apparente» la motivazione del tribunale di sorveglianza di Roma, che lo scorso giugno aveva giudicato corretto il provvedimento, ed hanno rinviato al tribunale di sorveglianza, appunto, per rideterminarsi.
Apriti cielo.

Reazioni scomposte, quasi da schizofrenia paranoide di chi addirittura ha tuonato affermando che con questa decisione si consentirebbe ad un esponente di spicco di Cosa Nostra di riallacciare i contatti con l’esterno. Come se il carcere di alta sicurezza, cui eventualmente passerebbe, fosse un villaggio vacanze.
Sarebbe il caso allora di ricordare, innanzi tutto, che il 41 bis non è una misura punitiva aggiuntiva, ma ha una ratio prettamente precauzionale che serve ad evitare, appunto, che un detenuto pericoloso possa continuare ad esercitare anche dal carcere il proprio potere all’esterno, proseguendo l’attività criminale.
Il regime prevede, dunque, l’isolamento dei condannati in celle individuali che nello specifico contengono un letto, un tavolo e una sedia inchiodata a terra.

Al suo interno il detenuto è controllato 24 ore su 24, non può avere oggetti personali, libri, riviste e giornali, salvo delle particolari concessioni che richiedono un lungo iter di approvazione.
I contatti con la polizia penitenziaria sono fortemente limitati, mentre con i familiari conviventi e con l’avvocato vi è l’obbligo del vetro divisorio durante i colloqui.

La legge prevede la reclusione in isolamento senza contatti per la durata di 4 anni, ma tale durata è rinnovabile e prorogabile per altri 2 anni di volta in volta, proprio per verificare che il condannato sia ancora in condizione di avere contatti a rischio con l’esterno o all’interno del carcere e cioè quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non sia venuta meno.

Di fronte alle singolari esternazioni espresse da alcuni esponenti politici, allora, non si può fare a meno di pensare, sopratutto di questi tempi, che l’indipendenza e l’autorevolezza della magistratura non sono minacciate solo quando si deve pensare alla separazione delle carriere o alla giornata delle vittime degli errori giudiziari.

Ma si lede l’autonomia del potere giudiziario e si mette in discussione la sua funzione, ogni qual volta esponenti politici, che dimostrano di non conoscere neanche la differenza tra dispositivo e motivazione di una sentenza, nonché il senso di un annullamento con rinvio, criticano la competenza dei magistrati per decisioni non condivise.

Gravissimo poi è che questi personaggi politici non sappiano il motivo per cui il 41 bis è da rivalutare ogni due anni e che affermino che: “non si può pretendere che una situazione di mafiosità conclamata possa essere argomentata in termini ogni volta diversi”, perché è elementare che per la permanenza del 41 bis sia imprescindibile che la motivazione posta a base della decisione debba essere sempre diversa rispetto agli anni precedenti ed attuale rispetto ai tempi. Questa “stupefacente pretesa” , dunque, non è un “mero vizio di forma”.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, dal momento che lo stupore proviene da chi pur rivestendo ruoli importanti nelle istituzioni, ignora come la forma in una sentenza sia sostanza.
E sostanziale è, dunque, anche, l’ignoranza di temi e principi giuridici così determinanti per la tenuta del nostro ordinamento, che per fortuna, alcuni Giudici salvaguardano ancora a protezione di quegli “anticorpi” che devono attivarsi ogni qual volta pensieri eversivi minacciano le nostre libertà fondamentali.

Del resto se è vero che anche la Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità del 41-bis perché ritenuto disumano e degradante, ha sempre respinto tali eccezioni, ha comunque specificato che esso va limitato a quei casi per cui risulta effettivamente motivato ed indispensabile, anche in considerazione delle condizioni del detenuto e del tempo trascorso. Diversamente, il suo permanere parrebbe frutto di una concezione vendicativa e non rieducativa della pena.

Ricordando, dunque, a chi si erge a paladino della giustizia a temi alterni, che lo Stato non può mai abusare del proprio potere e che le sentenze si criticano se si hanno gli strumenti cognitivi per farlo, o si impugnano, sarebbe anche il caso di non allarmarsi e non allarmare per acchiappare facili consensi, diffondendo notizie scorrette. Perché di cognomi “spaventosi” che hanno fatto la storia e che suscitano una “pericolosa e aberrante fascinazione”, ne girano a piede libero ancora parecchi nel nostro Paese, ed alcuni, in passato, hanno trovato addirittura posto nelle istituzioni senza che nessuno si sia però sconvolto