giovedì,Giugno 19 2025

Dall’inferno al paradiso, tutti i cosentini “tornati” dall’ergastolo

Dal processo "Garden" al flop dell'inchiesta "Luce" passando per i fratelli Notargiacomo, storie di condanne cancellate e sentenze ribaltate

Dall’inferno al paradiso, tutti i cosentini “tornati” dall’ergastolo

In viaggio verso l’inferno, ma con in tasca un biglietto di andata e ritorno. Sono numerosi i cosentini che, nell’ultimo ventennio, si sono visti cancellare l’ergastolo dopo un’iniziale condanna. Un lungo elenco che si apre con il processo “Garden”, la prima grande inchiesta contro la malavita bruzia culminata in quattro fine-pena-mai inflitti al termine del giudizio di primo grado. Allo stato attuale, però, di quella sentenza resta in piedi solo il carcere a vita applicato nei riguardi di Franco Perna. Inizialmente, infatti, la stessa sorte era toccata ad Antonio Musacco, all’epoca accusato di essere mandante dell’omicidio di Mario Maestri, il cuoco del ristorante Piccadilly, trucidato il 30 settembre del 1981 all’interno del locale di via Nicola Serra. Ergastolo per lui, poi convertito in 28 anni di reclusione dopo il processo d’Appello.

Diverso, invece, il destino di Domenico Cicero che nel 1998 si vede cancellare la condanna dopo aver trascorso l’anno precedente con la prospettiva di non uscire più di prigione. Non a caso, i giudici lo avevano riconosciuto colpevole di ben due delitti della guerra di mafia, entrambi consumati nel 1981. In particolare, il 5 gennaio, data dell’eliminazione di Alfredo Morelli, il braccio destro di Franco Pino freddato sotto la sua abitazione di Santa Lucia; e poi il 27 aprile, quando nel corso di un agguato teso al gruppo rivale in via degli Stadi, un proiettile vagante uccide sul colpo un anziano (Pasquale Barone) che passava di lì per caso.

Sette anni dopo “Garden”, però, saranno ben nove gli ergastoli inflitti a carico di altrettanti imputati, alla sbarra nel processo “Luce”. Sul piatto, in quell’occasione, ci sono i cinque omicidi dell’estate di sangue del 1991, quelli di Giovanni Lenza, Francesco Pagano, Lucio Bassano, Luigi Parise e Gabriele Mastroianni. A 13 anni di distanza, a incassare il massimo della pena davanti alla Corte d’assise di Cosenza sono i fratelli Pasquale e Mario Pranno, Giuseppe Ruffolo, Gianfranco Ruà, Lorenzo Brescia, Gianfranco Bruni, Rinaldo Gentile, Ettore Lanzino e il futuro collaboratore di giustizia Vincenzo Dedato. Nove ergastoli cancellati un anno dopo dai giudici di Catanzaro. Fu il più clamoroso flop della storia giudiziaria cosentina e, ancora oggi, viene rievocato in aula ogni qual volta c’è da sostenere la tesi dell’inattendibilità dei pentiti.

Proprio come la sentenza “Nigro-Portoraro”, pronunciata un anno prima di “Luce” con un copione pressoché identico. In quel caso, furono tre gli ergastoli assegnati Gianfranco Ruà, Walter Gianluca Marsico e Simone Andretti, ritenuti responsabili dell’eliminazione di Giovanni Portoraro e Salvatore Nigro, trucidati davanti a una scuola elementare di Cassano nel gennaio del 1992. Dopo una prima sentenza favorevole all’accusa, al secondo giro di boa, i giudici impiegano solo 15 minuti per rimandare a casa gli imputati con in tasca un verdetto assolutorio.

Un’altra revoca arriverà poi nel 2010 durante il maxiprocesso “Missing” quando a Mario Pranno, accusato di ben undici omicidi, non basta la scelta del rito abbreviato per scampare al carcere a vita. Questo, però, solo in primo grado. L’anno seguente, infatti, la pena gli verrà ridotta a vent’anni di reclusione. Emblematica, invece, è la vicenda dei fratelli Dario e Nicola Notargiacomo, ovvero i killer di Sergio Cosmai, il direttore del carcere cittadino ucciso il 12 marzo del 1985 sul viale che oggi porta il suo nome. Due anni più tardi, il Tribunale di Trani li condanna all’ergastolo, ma in Appello, a Bari, escono entrambi assolti per insufficienza di prove. Nel 1993, poi, i Notargiacomo iniziano a collaborare con la giustizia e confessano, tra le altre cose, anche la loro responsabilità nel delitto Cosmai. A quel punto, però, l’hanno già fatta franca dato che, per legge, non si può essere processati due volte per lo stesso crimine.

A dir poco rocambolesca, infine, la vicenda processuale di Mario Baratta, uno dei quattro ergastolani di “Garden”, riconosciuto in quella sede colpevole di aver partecipato, nel maggio del 1983, all’omicidio di Mariano Muglia. Il suo caso sembrava ormai chiuso, ma nel 2012 i suoi avvocati Paolo Pisani e Piergiuseppe Cutrì estraggono il classico coniglio dal cilindro: la nullità di quella sentenza, diventata intanto definitiva, per una violazione del suo diritto alla difesa. In pratica, una parte del dibattimento si era celebrata in sua assenza – era latitante – e anche dopo il suo arresto, per una svista, non gli erano stati notificati gli atti e gli avvisi di rito. Alla fine il processo si è rifatto da capo e si è concluso con la sua condanna a 14 anni di reclusione, una pena che a quel punto, però, Baratta aveva già finito di scontare.