‘Ndrangheta a Cosenza, lo stipendio di un killer professionista
I pentiti raccontano come e quanto sono retribuiti i membri del clan incaricati di eseguire gli omicidi, le loro rivelazioni sono sorprendenti
Mille e ottocento euro, una cifra che a Gaeta rappresenta il guadagno medio di un verniciatore di carrozzerie, purché esperto. A Cosenza, invece, è il salario mensile di un killer professionista. A spiegarlo, è stato Angelo Colosso, 38 anni, alias “Poldino”, ex del clan Lanzino diventato poi collaboratore di giustizia.
E in un verbale d’interrogatorio confezionato per i magistrati, Poldino ha fatto accenno anche al compenso che la sua organizzazione versava nelle tasche dei propri affiliati, fissando proprio a quota “1800” la busta paga di uno come Franco Presta, oggi ergastolano e all’epoca capo del gruppo di fuoco, quello incaricato di eseguire gli omicidi.
Sicario di professione, dunque, ma retribuito come uno “statale”. Uno scenario ben diverso da quello siciliano, dove alla fine di ogni mese, ad attendere i padrini corleonesi c’era un assegno da 40mila euro che, nel peggiore dei casi, scendevano a diecimila, euro più euro meno. E dove anche all’ultimo anello della catena criminale – lo spacciatore quasi sempre minorenne – erano garantiti introiti per almeno mille euro.
A Cosenza, invece, persino un pezzo grosso come Vincenzo Dedato, già “contabile” dello stesso gruppo di Presta, l’uomo che gestiva le estorsioni sui grandi appalti, all’atto del suo pentimento ebbe a dire: «Guadagnavo pressappoco quanto un operaio specializzato». Pressappoco. Il crimine non paga, quindi. O paga male. Uno spaccato criminale assimilabile alla new economy battezzata nello stesso periodo a Scampia, con il relativo (e drastico) taglio agli emolumenti dei camorristi.
Sembrano lontanissime, insomma, le suggestioni a cui, nei primi anni Novanta – quando ancora si ragionava in lire – un altro pentito, Nicola Notargiacomo, si richiamò per giustificare la propria scelta esistenziale: «Il crimine mi attraeva dal punto di vista del protagonismo anche se io non ho mai avuto certe tendenze, però, all’epoca, le posso dire che “l’uomo d’ambiente” era una moda, era qualcosa che attraeva. Probabilmente, mi sono lasciato attrarre anch’io dal mistero della malavita stessa». Accadeva trent’anni fa, ma la percezione odierna – per fortuna sempre più diffusa – è che sporcarsi le mani di vernice sia una scelta molto più nobile. E considerati gli stipendi in circolazione, pure più conveniente.