Estorsione mafiosa sulla Statale 106 Jonica, gravità indiziaria per i primi due indagati
Il tribunale del Riesame ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per D'Alessandro e Basile, concedendo agli stessi gli arresti domiciliari per le esigenze cautelari
Il Riesame conferma l’ordinanza del gip di Catanzaro relativamente alla sussistenza della gravità indiziaria per Giuseppe D’Alessandro, originario di Matera, e Domenico Basile, di Rocca Imperiale, indagati per una presunta estorsione mafiosa ai danni di un imprenditore impegnato nei lavori di realizzazione del Terzo Megalotto sulla Statale 106 Jonica. Gli altri riesami si terranno in seguito.
I giudici cautelari hanno ritenuto valide le argomentazioni del giudice per le indagini preliminari che aveva applicato la custodia in carcere per i due inquisiti. Tuttavia, sul tema delle esigenze cautelari, il Riesame ha convenuto di attenuare la misura, concedendo ai due indagati, D’Alessandro e Basile, gli arresti domiciliari.
Estorsione mafiosa, alle origini dell’inchiesta
Le indagini avviate sulla base della denuncia presentata dal legale rappresentante di un’impresa di costruzioni, vittima di una richiesta estorsiva di 150mila euro, pari al 3% di un appalto dal valore di 5 milioni di euro. Le condotte contestate si inseriscono nell’ambito degli interventi di edilizia pubblica funzionali alla grande opera di costruzione del “Terzo Megalotto” della statale 106, rispetto alla quale, stante la rilevanza dell’opera e il contesto territoriale, storicamente soggetto all’influenza della criminalità organizzata, è elevata l’attenzione, garantendo un costante monitoraggio delle dinamiche criminali in atto.
In particolare, le attività investigative, condotte da ufficiali ed agenti di P. G. dalla Direzione investigativa antimafia di Catanzaro, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Catanzaro – Direzione distrettuale antimafia, sono state supportate da intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, corroborate dall’analisi di una vasta mole di documentazione fiscale, bancaria e amministrativa.
Gli esiti di indagine avrebbero permesso di delineare il sistema di pagamento estorsivo e di identificare i soggetti coinvolti, ossia il reggente della cosca Abbruzzese, parliamo di Leonardo “Nino” Abbruzzese, attualmente detenuto al 41bis nel carcere de L’Aquila, gli intermediari tra la cosca e le vittime, i gestori delle società interessate. Nel caso di specie, si tratta di quattro imprenditori e di un factotum di uno degli imprenditori finiti nel mirino della magistratura antimafia.
Nello specifico, i risultati investigativi, coordinati dal pubblico ministero antimafia Alessandro Riello, accolti nella ordinanza cautelare, hanno consentito di ricostruire la vicenda estorsiva. Da quanto emerso, le somme richieste venivano ricavate tramite sovrafatturazioni messe in atto da ditte “colluse”, con l’utilizzo di documentazione falsa che simulava consegne di materiali e prestazioni di servizi sovradimensionate, così da contenere, ab origine, la quota parte destinata al pagamento dell’estorsione, che sarebbe confluita nelle casse della cosca di ‘ndrangheta Abbruzzese di Cassano all’Ionio.
A uno degli indagati, coinvolti nel procedimento penale della Dda di Catanzaro, viene contestato anche il reato di istigazione alla corruzione, che avrebbe promesso al capocantiere di una società a partecipazione statale appaltante dei lavori, incaricato di pubblico servizio, una somma di denaro pari a 20mila euro affinché falsificasse i certificati di stato avanzamento lavori (Sal) relativi allo smaltimento dell’acqua da parte dell’azienda incaricata. Ieri infine sono stati trattati i sequestri delle aziende di D’Alessandro e Basile. Si attende la decisione sempre del Riesame di Catanzaro.