giovedì,Aprile 24 2025

Omicidio di Vincenzo Pirillo, le confessioni del boss pentito Nicola Acri

Avrebbe dovuto essere proprio il boss di Rossano a uccidere nel 2007 l'allora reggente del crimine di Cirò, ma la storia prese poi un'altra piega

Omicidio di Vincenzo Pirillo, le confessioni del boss pentito Nicola Acri

Avrebbe dovuto essere Nicola Acri a uccidere Vincenzo Pirillo. A chiederglielo fu Cataldo Marincola in persona, che si rivolse a lui perché il sicario designato, Giuseppe Spagnolo alias “Peppe u Banditu”, non voleva saperne di compiere quell’azione di fuoco. Alla fine, però, la missione di morte sarà portata a termine da altri. E così, l’ingresso in scena del boss di Rossano non fu più necessario.

C’è anche un bel po’ di cosentinità nell’inchiesta che ieri ha portato all’arresto di quattro uomini sospettati di aver avuto un ruolo nel delitto eccellente di Cirò del 5 agosto 2007. Una data storica per la cronaca nera calabrese: quel giorno, infatti, sotto il piombo di sicari travisati con caschi e calzamaglie rosa, cade l’allora reggente del crimine di Cirò, potente consorteria da cui, storicamente, dipendono anche i clan della Sibaritide. Un’asse, quella tra Cirò e la parte jonica della nostra provincia, che risale ai tempi di Peppino Cirillo e che, negli anni, si è retta in equilibrio su un filo sottile, ma resistente e affilato. E va da sé, più volte bagnato dal sangue.

Di tutto questo, Nicola Acri alias “Occhi di ghiaccio”, è stato in parte protagonista e, per il resto, spettatore privilegiato. E oggi, nelle vesti di collaboratore di giustizia, sta contribuendo a far luce sulla storia criminale, ancora poco nota, dispiegatasi a cavallo tra le province di Cosenza e Crotone. L’affaire Pirillo, in particolare, documenta come, nel 2007, alleanze di ‘ndrangheta che sembravano ormai consolidate, fossero invece sul punto di mutare radicalmente.

In quei giorni, infatti, la ‘ndrina di Acri forma un fronte unico con quella di Corigliano e con gli zingari di Cassano nella guerra contro la famiglia Forastefano. Poco meno di un decennio prima, gli zingari hanno ottenuto il riconoscimento di clan di ‘ndrangheta proprio grazie alla benedizione di Cirò. Ora, però, qualcosa sta per cambiare. Il boss Cataldo Marincola è parzialmente fuori gioco poiché costretto alla latitanza, alla guida dell’organizzazione c’è il reggente Cenzo Pirillo; e con lui, a quanto pare, le carte si rimescolano.

Pirillo, infatti, avvia per la prima volta affari con i nemici dei suoi alleati cosentini: divide alcune partite di droga con i Forastefano e tanto basta per allarmare il boss di Rossano. Qualcosa sta cambiando, ma il peggio deve ancora venire.  Proprio Spagnolo, un giorno si presenta al cospetto di Acri per informarlo che il suo gruppo «non vuole più avere a che fare con gli Abbruzzese». La notizia coglie di sorpresa Occhi di ghiaccio che tenta di abbozzare una protesta, ma quell’altro non sembra sentire ragioni. In seguito, si accorgerà che non è l’unica turbolenza con cui deve confrontarsi.

Lo stesso “Cenzo” Pirillo, infatti, coltiva addirittura l’idea di uccidere Spagnuolo e ritiene che a sua volta Gaetano Aloe, figlio del defunto Nick e cognato del “Bandito”, abbia in animo di attentare alla sua vita. «Aveva proposito di vendetta per l’omicidio del padre nel quale era coinvolto anche Pirillo e secondo lui era il cognato ad aizzarlo». Purtroppo per Pirillo, la storia gli darà ragione, ma in quei giorni è ancora lui a reggere le sorti del gruppo, e imputa tutte le fibrillazioni del momento alla «scarsa lungimiranza di Spagnuolo».

Acri si trova in mezzo a quei due fuochi e cerca di barcamenarsi in una situazione che pare sul punto di precipitare da un momento all’altro.

Non accadrà, perché proprio in quel momento, torna sulla scena l’unica persona in grado di riportare un po’ di ordine: Cataldo Marincola. «Dopo la sua scarcerazione – rievoca Acri – convocò una riunione a Cirò Marina». Oltre a lui, a quel summit tenutosi in un appartamento del centro storico, avrebbero preso parte anche esponenti dei Megna di Crotone, degli Arena di Isola e dei Trapasso di Cutro. Fra i temi all’ordine del giorno, «le ambiguità» mostrate in sua assenza dai cirotani nei confronti degli alleati, in particolare degli Abbruzzese, e «della poca chiarezza mostrata nell’appoggiare gli Arena e i Trapasso nelle faide con i cutresi».

Nei ricordi di “Occhi di ghiaccio”, Marincola «ascoltava tutti intervenendo poco nella discussione» e attribuiva la colpa di «quelle incomprensioni» alle scelte operate dal suo defunto predecessore, Natale Bruno. «Disse di aver avuto contatti con i Grande Aracri e i Nicoscia, e che questi erano disposti a fare la pace con la garanzia del crimine cirotano. Sia i Megna che gli Arena acconsentirono, riservandosi però di parlarne con le rispettive famiglie».

Marincola però vuole approfondire soprattutto quale sia la situazione a Sibari e dintorni e nei giorni successivi lui e Pirillo incontrano nuovamente il loro referente rossanese. «Dissi loro che non comprendevo perché i cirotani si fossero avvicinati ai Forastefano, ma Pirillo minimizzò, dicendo che con loro avevano lavorato solo poche partite di droga per ragioni di buon vicinato».

A seguito di questa discussione, il superboss avrebbe «rinnovato la vecchia unione tra le nostre cosche, ribadendo anche l’alleanza con gli zingari». Di lì a poco però Pirillo cade nell’agguato e Acri apprende la notizia proprio da Marincola, durante un periodo di latitanza comune in quel di Camigliatello Silano. «Mi disse che Gaetano Aloe aveva fatto un casino» ma nello stesso verbale attribuisce proprio al boss la decisione di procedere con quell’eliminazione eccellente.

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