«Noi siamo i mafiosi, non loro»: il pestaggio e il potere criminale del boss di Cariati
Una conversazione intercettata in un lido balneare svelerebbe la capacità di Giorgio Greco di controllare il territorio, punire i dissidenti e regolare rapporti tra 'ndrine
Un dialogo in apparenza ordinario, avvenuto sul lungomare di Cariati in una giornata di giugno, celerebbe invece l’essenza del potere mafioso: controllo, intimidazione e violenza sistemica. È quanto emergerebbe da un’intercettazione ambientale del 18 giugno 2020, nel corso della quale Giorgio Greco, ritenuto esponente apicale della ‘ndrina operante su Cariati, avrebbe discusso della necessità di punire un soggetto colpevole di essersi comportato “da mafioso” pur non facendone parte. La vicenda si intreccerebbe anche con i rapporti tra la cosca Farao-Marincola di Cirò Marina e il mondo imprenditoriale calabrese ed emiliano.
‘Ndrangheta a Cariati, il contesto dell’indagine
Le intercettazioni fanno parte del fascicolo della Squadra Mobile di Catanzaro e si inseriscono in un più ampio quadro investigativo volto a ricostruire la rete di potere della ‘ndrangheta nel basso Jonio cosentino. In particolare, il gruppo facente capo a Giorgio Greco verrebbe ritenuto punto di riferimento criminale nel territorio di Cariati, con legami strutturati con la locale di Cirò e con esponenti del mondo imprenditoriale attivi anche a Parma.
I soggetti coinvolti
Giorgio Greco, Olindo Celeste, Cataldo Rizzo e Aldo Marincola (detto Cataldiccio), avrebbero discusso dell’azione punitiva nei confronti di un soggetto. A motivare la reazione, una minaccia rivolta da quest’ultimo a un avvocato del posto.
‘Ndrangheta a Cariati, le intercettazioni
«”Ma come si permette di andare a dire ‘ti brucio’? Adesso noi andiamo a lavorare… e accendete (bruciate) voi che noi andiamo a lavorare…”». Così si sarebbe espresso Giorgio Greco, indignato dal fatto che un soggetto “comune” si fosse arrogato il diritto di usare metodi mafiosi senza far parte dell’organizzazione. Il tono sarebbe diventato ancor più esplicito: «“Tu accendi la macchina… compà, e noi che ci stiamo a fare qua? Allora voi fate i mafiosi e noi andiamo a lavorare…”».
La decisione sarebbe stata presa: quel soggetto andava “stroppiato”, ovvero pestato. Il luogo scelto, una roulotte in un terreno isolato, di proprietà dello stesso Greco. Cataldo Rizzo avrebbe inizialmente preso parte al piano, salvo poi essere sollevato dall’incarico per evitare complicazioni legali: «“Escitene tu… se poi questo cornuto mi fa qualche denuncia… ce la vediamo noi, Catà”».
Secondo gli investigatori, il pestaggio sarebbe stato poi eseguito realmente, come testimoniato da voci concitate, lamenti e suoni compatibili con percosse registrati dal cellulare lasciato acceso in auto da Greco.
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