giovedì,Maggio 22 2025

Massimino e Angioletto, le due lupare bianche “gemelle” di Cosenza

Uccisi e fatti sparire nel nulla a cinque anni di distanza l'uno dall'altro, pagarono entrambi il prezzo di una vita vissuta a cavallo di due clan criminali

Massimino e Angioletto, le due lupare bianche “gemelle” di Cosenza

Il clan dei nomadi da una parte, quello dei “Bella Bella” dall’altra e lui nel mezzo. È in questo triello che, nel 2001, Massimo Speranza alias “Il brasiliano” perde la sua giovane vita. I suoi amici rom, infatti, lo accusano di fare il doppio gioco con la banda all’epoca guidata da Michele Bruni, ma fondata alcuni prima da suo padre Francesco. Sono gli anni in cui quest’ultimo tenta di farsi spazio sulla scena criminale forte dell’appoggio di Antonio Sena e Leonardo Portoraro, e per questo motivo si ritrova addosso tutte le altre cosche, compresa quella degli zingari, determinate a stroncarne l’ascesa. Scoppia così a Cosenza la terza guerra di mafia, combattuta nel biennio il 1999-2000 e conclusasi con la sconfitta rovinosa dei nuovi e aspiranti boss.

Sena e lo stesso Francesco Bruni perderanno vita in quel conflitto, prima in città che le carte si rimescolino e che i nemici di un tempo diventino improvvisamente amici. A partire dal 2003, infatti, l’erede dei “Bella Bella” stipula con i rom un’alleanza che segnerà la cronaca nera e giudiziaria del decennio successivo. Questa, però, è un’altra storia. Quando Speranza muore, le ostilità fra gli zingari e i Bruni volgono al termine, ma sono ancora aperte. Il brasiliano abita in via Popilia, porta a porta con alcuni affiliati del gruppo rom e per loro ruba le auto, spaccia un po’ di droga. Qualcuno, però, dubita della sua lealtà, insinua che faccia lo “specchietto” per conto dei Bella-Bella e, in particolare, per Angelo Cerminara. Con lui condividerà la stessa brutta sorte, pur se a qualche anno di distanza l’uno dall’altro.  

Angioletto

Angelo Cerminara, per gli amici più semplicemente Angioletto. Trentatré anni il giorno in cui sparisce nel nulla, il 4 ottobre del 2006. A quel tempo fervono le indagini che, due anni dopo, daranno vita all’operazione “Anaconda”, e una telecamera dei carabinieri è puntata h24 su San Vito quartier generale di una cosca emergente e guidata da Domenico Cicero. Cerminara è fresco di passaggio nel gruppo Cicero dopo una precedente militanza con i “Bella bella” e il 4 ottobre l’obiettivo immortala il suo arrivo nel rione a bordo di una Nissan Micra color carta da zucchero. Poco dopo si avvicina a lui Riccardo Greco (alto gerarca della cosca, deceduto poi in carcere in 10 agosto 2010) e i due salgono sull’auto di quest’ultimo, una Renault Clio rossa, diretti verso piazza Europa per un pit stop al bar.

Qui li raggiunge Vincenzo Candreva, detto il “Vichingo”, pure lui un tempo vicino a Bruni e poi transitato con Cicero. Dopo il caffè, i tre risalgono a bordo della Clio e imboccano viale della Repubblica, ma ignorano di essere pedinati da un carabiniere che li segue a breve distanza. Il diavolo, però, ci mette lo zampino quando il traffico cittadino separa in modo irrimediabile le due vetture. Il carabiniere torna mestamente sui propri passi, mentre di Angioletto Cerminara, da allora, non si avranno più notizie. Qualche ora più tardi, la stessa telecamera riprende il ritorno di Greco e Candreva a San Vito, ma con loro non c’è più il terzo passeggero, ormai inghiottito dalla lupara bianca.  

Incroci

Sulla scorta di questi filmati, negli anni successivi Cicero sarà processato in qualità di mandante dell’omicidio, Greco e Candreva in quella di esecutori materiali. Perché avrebbero ucciso Cerminara? I riflettori si posano una truffa che la vittima aveva messo a segno anni prima ai danni di un concessionario paolano, raggiro consistito nell’acquisto di uno stock di autovetture di grossa cilindrata, pagate con assegni scoperti e poi rivendute al dettaglio. Quel business gli aveva fatto intascare qualcosa come 900mila euro, soldi che, invece di versarli al gruppo Bruni, Angioletto aveva trattenuto per sé. La circostanza è indicata come all’origine della sua rottura con “Bella-bella” – che non a caso gli indirizzerà una lettera di fuoco, intimandogli di restituire il maltolto – e del suo avvicinamento a quelli di San Vito.

Bruni da una parte, Cicero dall’altra e lui nel mezzo. Cerminara si trova allo stesso incrocio pericoloso affrontato cinque anni prima dall’amico Brasiliano. A differenza sua, però, Angioletto aveva intuito di essere in pericolo. Otto giorni prima di morire, infatti, chiede un incontro riservato ai carabinieri e manifesta loro il proposito di collaborare con la giustizia. «M’hanno jucatu» confida a un militare, senza però scendere in particolari. Poche ore dopo, si vede in un bar cittadino con Roberto Pagano a cui è legato da rapporti di parentela. Forse vuole sapere da lui com’è la vita da pentito, in previsione di un grande salto che, però, non arriverà mai. Gli assassini saranno più rapidi.

Durante il processo, l’ipotesi proposta dalla Dda era che, in quel 2006, Cerminara fosse stato sacrificato sull’altare della «pax mafiosa» suggellata in quel periodo dai gruppi Bruni e Cicero, ma è una tesi che, alla fine della corsa, non troverà conferme in tribunale. Il processo, infatti, si concluderà con l’assoluzione degli imputati in tutti i gradi di giudizio.