Tentato omicidio Calabrese, colpo di scena: il gup Greco riconosce l’aggravante del metodo mafioso

Doveva concludersi oggi il processo di primo grado, svoltosi col rito abbreviato, per il tentato omicidio del fratello del pentito Roberto Violetta Calabrese, ma al termine della Camera di Consiglio il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Cosenza, Giuseppe Greco ha emesso un’ordinanza con la quale trasmette gli atti per competenza funzionale alla Dda di Catanzaro.

In poche parole, il giudice di Cosenza dopo aver sentito le parti, e avendo a disposizione il verbale del fratello del collaboratore di giustizia, ritiene che vi siano le condizioni per contestare all’imputato Mario Mandoliti l’aggravante del metodo mafioso sulla base delle dichiarazioni della vittima che disse di aver ricevuto qualche giorno prima l’evento delittuoso la visita di alcuni soggetti vicini alla famiglia Castiglia. Quindi, secondo il giudice questa circostanza è da collegare al tentato omicidio che sarebbe stato commesso da Mario Mandoliti.

Tuttavia, all’epoca dell’ordinanza di custodia cautelare il gip distrettuale di Catanzaro non contestò l’aggravante dell’articolo sette, motivo per il quale i difensori dell’imputato, gli avvocati Antonio Ingrosso e Filippo Cinnante, ottennero dal tribunale del Riesame di Catanzaro la trasmissione degli atti alla procura di Cosenza per competenza territoriale. Oggi, dunque, il colpo di scena che rimette tutto in discussione.

Ora toccherà alla procura antimafia di Catanzaro rivalutare il tutto e procedere nei confronti di Mandoliti. Ma sul punto è necessario chiarire un aspetto. Quando il Riesame di Catanzaro decise di trasferire gli atti a Cosenza, non vi fu ricorso della Dda di Catanzaro.

La procura di Cosenza, ad onor di cronaca, oggi aveva chiesto 10 anni di carcere per l’imputato.

 

I FATTI. L’indagine – arrivata sulla scrivania del pm Antonio Bruno Tridico dopo la decisione del tribunale del Riesame di Catanzaro di inviare gli atti alla procura di Cosenza per competenza territoriale in quanto nella prima imputazione non era stata contestata l’aggravante del metodo mafioso – trae origine dall’agguato che sarebbe stato compiuto dall’arrestato ai danni del fratello del collaboratore di giustizia il 6 marzo 2013 quando, a bordo di una Ford Kuga, Mandoliti si sarebbe avvicinato lentamente presso l’attività commerciale della vittima situata in un traversa di Viale Mancini a Cosenza.

Secondo il racconto del fratello del pentito il presunto autore del tentato omicidio, avrebbe prima abbassato il finestrino lato passeggero estraendo una pistola, e dopo avrebbe iniziato ad esplodere dei colpi in direzione di Calabrese il quale, fortunosamente, è riuscito a salvarsi gettandosi a terra.

Tuttavia, nel corso delle precedenti udienze davanti al gup di Cosenza, i difensori dell’imputato avevano documentato il fatto che in realtà dalla posizione in cui la vittima non era possibile riconoscere la fisionomia di Mario Mandoliti, al quale il gip di Cosenza Francesco Luigi Branda aveva concesso gli arresti domiciliari. Circostanze, poi, smentite dagli investigatori che hanno confermato quanto prodotto durante le indagini preliminari. (Antonio Alizzi)

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