Cosenza, condanna definitiva per l’uomo che uccise lo zio

Fu una delle prime volte che i poliziotti riuscirono a far parlare la vittima prima che il suo cuore cessasse di battere, facendogli dire il nome di chi lo avesse sparato. Era il 29 gennaio del 2014, quando Giovanni Bertocco uccise lo zio con diversi colpi di arma da fuoco.

A distanza di quattro anni dal giorno del delitto, la Cassazione ha emesso la sentenza definitiva sulla morte di Francesco Bertocco, zio dell’imputato, ferito a morte al termine di una lite accesa tra vari componenti familiari. Un diverbio che costò la vita all’uomo.

Giovanni Bertocco in quel periodo era sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Una volta terminato scarcerato, l’imputato uscì dalla propria abitazione portando con sé una pistola con matricola abrasa per recarsi presso l’abitazione del nonno, dove la vittima Francesco Bertocco si recava tutti i pomeriggi.

Giunto nei pressi di tale abitazione, Giovanni Bertocco aveva atteso per circa un’ora l’arrivo dello zio Francesco, contro il quale esplose sette colpi di pistola: due proiettili avevano raggiunto la vittima che era deceduta poco dopo in conseguenza delle lesioni ai polmoni determinate dal primo dei due proiettili.

I rapporti fra zio e nipote erano buoni fino a pochi giorni prima dell’omicidio, non avendo inciso sugli stessi i giudizi, dai contenuti ingiuriosi da tempo dati dai componenti la famiglia Bertocco sulla madre di Giovanni Bertocco, in ragione della sua decisione di intraprendere, vari anni prima del fatto, una stabile relazione sentimentale con un altro uomo dopo due anni dalla morte del marito.

Emerse invece che qualche giorno prima dell’omicidio Francesco Bertocco aveva aspramente rimproverato il nipote, perché aveva avuto un diverbio con un vicino di casa mentre si trovava agli arresti domiciliari, ed aveva intimato a Giovanni Bertocco di non recarsi più a casa del nonno, alla cui cura provvedeva lo stesso Francesco Bertocco.

Per i giudici di secondo grado, dopo la condanna 18 anni inflitta dal tribunale di Cosenza col rito abbreviato, non vi era spazio alcuno per ritenere sussistente l’aggravante della provocazione, mentre in parziale accoglimento dell’appello dell’imputato, difeso dall’avvocato Maurizio Nucci, la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, il 3 marzo 2016, escluse la sussistenza dell’aggravante dei futili motivi del delitto di omicidio e rideterminò la pena da infliggere nella misura di 15 anni di reclusione.

Secondo la difesa, la sentenza d’appello era da censurare «per avere, con motivazione contraddittoria, ritenuto non sussistente nel caso concreto la circostanza attenuante della provocazione, non avendo, in particolare, spiegato, per quale motivo, anche alla luce del contenuto delle dichiarazioni non fosse stata ritenuta credibile l’affermazione di esso ricorrente di essere stato apostrofato dallo zio, poco prima dell’esplosione dei colpi, con le parole “vattene tu e quella puttana di tua madre, siete una razza di merda”».

Tuttavia, la prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dall’imputato Giovanni Bertocco che dovrà scontare dunque 15 anni di carcere. (a. a.)

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