Usura a Cosenza, il coraggio di denunciare. La genesi dell’inchiesta

E’ un segnale molto importante quello che danno le vittime di usura o di altri reati che soffocano l’economia, quando si presentano davanti alle forze dell’ordine per denunciare (o confermare) i fatti che li coinvolgono come parti offese. Nel caso dell’operazione “Alto Tasso“, condotta dalla polizia di Cosenza e coordinata dalla procura di Cosenza, diretta dal procuratore capo Mario Spagnuolo, le indagini, invece, iniziano dallo sfogo di una persona, amica di una delle vittime. Si presenta davanti ai poliziotti e spiega cosa succede al suo amico. Un fatto apprezzato dal gip del tribunale di Cosenza, Manuela Gallo, presente nelle motivazioni che hanno portato all’adozione delle misure cautelari a carico dei cinque indagati. (LEGGI QUI I NOMI DEGLI INDAGATI)

Usura a Cosenza, come aiutare un amico in difficoltà

«Il presente procedimento nasce da una complessa attività di indagine compiuta dalla Squadra Mobile della Questura di Cosenza e consistita in attività di intercettazione telefonica, di assunzione di sommarie informazioni dalle persone offese e in alcuni casi dai loro congiunti, in attività di riscontro compiuta mediante servizi di osservazione, pedinamento e controllo, acquisizione di filmati delle telecamere di vieosorveglianza e di natura documentale» evidenzia nella premessa il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Cosenza, Manuela Gallo.

«La genesi dell’indagine è da individuarsi nella denuncia» di un uomo «il quale si è determinato a rivolgersi alle forze dell’ordine perché allarmato dalla condizione di estrema difficoltà in cui versava l’amico», ovvero una delle vittime dell’usura a Cosenza, «il quale (come risulta anche dalle captazioni della sua utenza subito dopo autorizzate) aveva manifestato propositi suicidi». L’amico della vittima avrebbe riferito agli agenti della Mobile di Cosenza, che l’uomo era «senza fissa occupazione e dedito al gioco d’azzardo, era da tempo vittima di usura da parte di un soggetto di etnia rom di nome Tonino e che era rimasto intrappolato in un circuito debitorio sempre più oneroso dal quale non sapeva più come uscire».

Cosa dice il gip di Cosenza

Nel marzo del 2018, la vittima aveva chiesto all’amico «di accompagnarlo all’appuntamento con l’usuraio (poi identificato in Antonio Berlingieri) per chiedere un prestito che doveva risultare nell’esclusivo interesse» della vittima. «Dopo la denuncia, veniva avviata attività di intercettazione telefonica sull’utenza in uso» alla persona offesa «che poi si estendeva progressivamente alle utenze in uso ad altri soggetti coinvolti nella vicenda che ci occupa ed in particolare agli altri indagati» sottolinea il gip di Cosenza, Manuela Gallo.

«Solo in seguito, sentito a sommarie informazioni» l’uomo «avrebbe confermato di essere anche lui vittima di usura non solo di Berlingeri ma anche di Sergio Manna, come d’altra parte sarebbe emerso che» la vittima «aveva contratto prestiti a condizioni usurarie anche con lo stesso Sergio Manna e con Maurizio Bruno».

Le vittime confermano (ma non sporgono querela)

Senza la denuncia dell’amico di una delle vittime, i presunti usurai avrebbero continuato ad incrementare le loro attività illecite. Le persone offese (ad eccezione di due), infatti, non hanno sporto querela, ma hanno accusato i loro “aguzzini”, solo perché convocati dalla Squadra Mobile di Cosenza. Ecco cosa scrive il gip. «Così prendeva corpo l’attività investigativa, che si sviluppava come esposto con l’estensione dell’attività captativa e con la convocazione ed assunzione a sommarie informazioni di numerose vittime di usura».

«Da questo ultimo profilo, in disparte dalle considerazioni più specifiche sulla attendibilità delle persone offese che si faranno nel trattare i singoli episodi contestati, si osserva sin d’ora che (a parte due) nessuna delle altre vittime ha inteso sporgere querela ed anzi tutte hanno reso dichiarazioni accusatorie nei confronti degli indagati solo perchè convocate dagli inquirenti» scrive il gip Manuela Gallo.

«Le persone offese hanno quasi sempre mostrato di provare vergogna in ordine alle vicende che le vedevano coinvolte ed una certa resistenza a raccontare i fatti, che non avevano rivelato neppure alle persone a loro più vicine. Le vittime non erano animate da risentimento nei confronti degli usurai né da alcun intento punitivo nei loro confronti, anzi spesso hanno mostrato gratitudine nei confronti di chi (dal loro punto di vista) le aveva aiutate in momenti di difficoltà».

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