Cosenza, l’odissea di una famiglia perbene con un figlio spacciatore

Non solo le storie delle persone finite in carcere e di quelle a piede libero, degli investigatori che per quattro anni hanno spiato le loro vite, raccolto indizi e cercato conferme ai sospetti.  Negli atti dell’ultima inchiesta della Dda sulle cosche di Cosenza trovano posto i tormenti delle famiglie degli indagati. Padri e madri alle prese con figli finiti nel vortice delle cattive amicizie, che assistono impotenti alla loro caduta. Sempre più in basso, fino a sprofondare.
Le intercettazioni eseguite a maggio del 2019 documentano anche queste odissee. È il caso del nucleo familiare di via Popilia, gente onesta che sbarca il lunario lavorando da mattina a sera. Lo fa per dare un esempio al proprio figliolo che, però, ha altre idee per la testa. Ormai trentenne, si è legato a uno dei boss emergenti di Cosenza. Gli fa da autista, mette a disposizione per lui la propria auto, ma con un’avvertenza: quel veicolo serve spesso al genitore per i suoi spostamenti di lavoro.

«Carabiniere e infame»

«Appena torna papà ti vengo a prendere» dice l’improvvisato autista al suo capo l’undici novembre, alle tre del pomeriggio. «Quel cornuto di tuo padre» gli risponde l’amico, e giù una bestemmia ai cari estinti dell’uomo. «Ma no, è andato a lavorare pover’uomo» tenta di difenderlo il figlio, ma quell’altro è impaziente: «Dove va girando con questa cazzo di macchina?». Fatto sta che passa un’ora e lui non è ancora rientrato a casa, così il giovane boss ricontatta il suo sottoposto: «Ma è venuto il pisciaturo, infame e carabiniere di tuo padre?». Nelle intenzioni il tono vuole essere scherzoso, ma fa chiarezza sul ruolo del genitore: sa che suo figlio frequenta certa gente, non lo apprezza, tenta di ostacolarlo con tutte le forze. E questo, dunque, fa di lui un «carabiniere».

La droga in bagno

Purtroppo, dal prosieguo delle indagini emerge che il ragazzo non si limita a scarrozzare delinquenti su e giù per la città, ma a volte custodisce per loro del materiale illecito.  È quasi certamente droga, infatti, quella che suo padre rinviene occultata in bagno, alle 10.29 del 20 dicembre 2019. Suo figlio è già uscito di casa e lui lo chiama per ruggirgli contro. «Cosa sono queste cose in bagno?» urla al telefono, e il figlio imbarazzato: «Lasciali stare, lasciali stare che sono di… che poi glieli porto… lasciali stare, pà…». Il papà non vuole sentire ragioni: «Che sono… che cosa sono?» sbraita ancora prima di interrompere la conversazione.

Paura di mamma

Tempo un minuto e il custode del pacchetto riceve la chiamata della sorella. Che con mirabile dono di sintesi, va dritta al punto: «Cos’è questa schifezza?». Il fratello ripete la solita solfa – «non lo toccare, non lo toccare» – e spiega di avere quella roba in custodia per qualche ora. Garantisce che in serata sarà riconsegnata al legittimo proprietario. «Bella cosa fina» commenta la donna prima di tagliare corto con lui: «Sì… sì… ciao». A quel punto è il giovane a a ricontattarla, perché in lui si agitano due timori. Il primo è che i suoi familiari aprano il pacchetto e che poi il suo boss, notando i segni di manomissione, possa pensare «che io mi sono preso qualcosa». Peggio per lui, perché suo padre lo ha già scartato. L’altra, invece, è una paura più ancestrale: «Non dite niente a mamma!».

Un genitore ferito

Suo padre, però, non ha ancora finito con lui. E alle 10.43 lo ricontatta per un’ultima e drammatica invettiva con intermezzi di insulti e bestemmie: «Lo sai che vuol dire che mi hai rotto? … Vieni a prenderti queste cose… e poi da qui te ne devi andare… te ne devi andare… lo sai che vuole dire? (…) Tu non vedi più un euro… la macchina te la dimentichi…ti sparo…ti taglio la testa… ti ammazzo!». Uh, com’è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme imbiancano.     

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