I VERBALI | Daniele Lamanna racconta: «Fui battezzato a Bari, ero legato a Michele Bruni»

L’ultimo pentito fuoriuscito dalla ‘ndrangheta cosentina spiega l’inizio del suo percorso con il clan “Bella bella”. Intanto le sue dichiarazioni e quelle di Franco Bruzzese hanno aperto un nuovo filone per l’omicidio di Luca Bruni

La collaborazione di Daniele Lamanna con la giustizia risale al 10 aprile scorso, quando i pubblici ministeri della Dda, una volta appresa la notizia che l’esecutore materiale del delitto di Luca Bruni volesse farla finita con la ’ndrangheta, si sono recati presso il penitenziario in cui era rinchiuso al 41bis per sottoscrivere il primo verbale d’interrogatorio. Si è partiti dalla sua fidelizzazione alla mafia cosentina e ovviamente il primo argomento trattato non poteva che essere quello dell’omicidio del suo (ex) amico, con il quale era cresciuto grazie ai legami d’amicizia tra Michele Bruni e suo fratello Carlo. Un assassinio maturato in un contesto mafioso che per il momento ha prodotto due sentenze: l’ergastolo a Maurizio Rango per aver deliberato e occultato il cadavere e 6 anni di reclusione a Adolfo Foggetti, il pentito che insieme a Lamanna tesero una trappola all’ultimo boss dei “Bella bella”. A metà giugno, invece, si esprimerà la Corte d’Assise di Cosenza sulle richieste di condanna del pm Pierpaolo Bruni che per Lamanna e Bruzzese ha chiesto 9 anni di carcere ciascuno. Ma le indagini proseguono anche sul versante della cosca degli italiani, senza dimenticare che nel giorno dell’ufficialità della collaborazione di Bruzzese, la pubblica accusa nel corso del processo in abbreviato “Rango-zingari” aveva richiesto la misura cautelare anche per Ettore Sottile, sospettato di aver partecipato alla fase finale dell’omicidio insieme a Rango.

A tre giorni di distanza dal suo pentimento, il procuratore capo di Castrovillari e titolare dell’inchiesta “Tela del Ragno” arriva nella località protetta e interroga Daniele Lamanna. Gli argomenti da mettere sul tavolo sono gli omicidi avvenuti nel Tirreno cosentino nei primi anni del 2000 e in particolare quello relativo a Luciano Martello per il quale egli stesso è imputato ma già assolto in primo e secondo grado col rito abbreviato. Lamanna spiega di essere stato fidelizzato tra il 2005 e 2006 nel carcere di Bari dove finì insieme a Luca Bruni, suo fratello Carlo e Adolfo Foggetti per una rapina consumata a Corato. «Fummo battezzati sia io che Adolfo. Io portavo come capo società Michele Bruni, favorevole Giovanni Abruzzese» e sfavorevole un membro della presunta cosca degli Arena di Isola Capo Rizzuto. «Mi fu dato lo sgarro e di recente ho rifiutato ulteriori avanzamenti, prima di essere arrestato. Mi fu proposto congiuntamente da Francesco Patitucci e mio fratello Carlo che era sceso qui nel carcere di Cosenza per un permesso per mia madre che in quel periodo non stava bene». Facciolla domanda se in quell’occasione vennero fatte altre fidelizzazioni e Lamanna annuisce: «Sì, per quello che so io… e ne sono stato noviziato (notiziato?, ndr) di questo… eh… Maurizio Rango e Roberto Porcaro». Questo sarebbe successo prima degli arresti di “Nuova Famiglia”, ovvero l’indagine della Dda nei confronti del presunto clan “Rango-zingari”. Il periodo in cui Lamina colloca questi fatti è tra il 2013 e il 2014.

L’attenzione poi si sposta sui rapporti con i Bruni “bella bella” di Cosenza. «Risalgono all’infanzia, sono decennali. Avendo comunque due stili di vita completamente differenti perché io lavoravo e Michele era quello che era, diventava quello che diventava, io continuavo nel mio lavoro ma anche conoscenze delinquenziali. Dove? Ce ne erano a Cosenza nel centro storico voglio dire… dei personaggi». E continua nel racconto: «All’inizio non ebbi mai modo di partecipare o comunque conoscere qualcosa a livello di malavita, mafia o ’ndrangheta». Una situazione che cambia – a dire di Lamanna – «nel 1999 dopo la morte del padre, nasce come una sorta di affetto solidale per quello che era successo», ma solo nei confronti di Michele perché «Luca era molto più piccolo, quindi la mia conoscenza era riservata a Michele, alla buonanima di Franco che mi mandò a chiamare qualche mese prima della sua morte, sapendo che io avevo contatti con Michele, per la sua condotta un pochino traballante». Francesco Bruni senior voleva – a sentire le propalazioni di Daniele Lamanna – «che Michele non facesse uso di sostanze stupefacenti e di portarlo a conoscenza di questo perché non doveva farlo». Così il legame con i Bruni “bella bella” si rafforza fino a quando il clan non espande le sue amicizie nel Tirreno cosentino, stringendo accordi con i Serpa e nello specifico dopo la morte di Pietro Serpa. «Fummo coinvolti un pochino tutti, compreso mio fratello e Giovanni Abruzzese». Ma questa è un’altra storia. (a. a.)

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