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Rende, Fiammetta Borsellino: «Nessuno parla del cellulare di mio padre…»

Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, ricorda quei momenti in un convegno tenutosi a Rende. «Si può dire anche di no nella vita. Io a 19 anni ho deciso che dovevo continuare a percorrere la via della vita e non della morte e questo anche se tu sei la storia che ti precede

Rende, Fiammetta Borsellino: «Nessuno parla del cellulare di mio padre…»

Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, ricorda quei momenti in un convegno tenutosi a Rende.

«Si può dire anche di no nella vita. Io a 19 anni ho deciso che dovevo continuare a percorrere la via della vita e non della morte e questo anche se tu sei la storia che ti precede e che ti permette di parlare con serenità della nostra storia. Il vero aiuto che avremmo dovuto avere da parte dello Stato non era una pacca sulla spalla, ma risposte precise» afferma Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso negli anni ’90 dal Cosa Nostra.

«Noi abbiamo avuto con la sentenza della Borsellino quater la certezza del depistaggio e per questo abbiamo il dovere di chiedere verità allo Stato e abbiamo il dovere di raccontare a voi ragazzi la nostra storia» che si sviluppa attraverso stragi di vittime innocenti, che volevano difendere lo Stato e i cittadini dalla mafia.

L’incontro a Rende

All’incontro di venerdì mattina al museo del Presente, promosso dall’associazione Yaraiha e patrocinato dal comune di Rende e dalla camera Penale di Cosenza, ha partecipato il sindaco Marcello Manna: «La strage di via d’Amelio e le relative indagini sono uno dei momenti più bui della nostra democrazia: c’è una verità che ancora non è uscita ed il ruolo dei collaboratori di giustizia è stato determinante nella distorsione di questa verità. È un segnale allarmante per la salvaguardia dei nostri diritti, della costituzione e dei principi continuamente violati. I grandi depistaggi sono sempre stati opera della politica giudiziaria».

Le dichiarazioni dei protagonisti

«Dopo anni di attesa – ha affermato l’assessora Marina Pasqua nel dibattito coordinato da Sandra Berardi – Fiammetta Borsellino ha scelto di rompere questo silenzio e parlare alle giovani generazioni e lo ha fatto per dire di non fidarsi di chi da pacche sulle spalle, ma di fidarsi di chi da risposte. L’uscita dal silenzio di Borsellino ha in sé il segno di una critica spietata a queste prassi e ribadisce al contempo il senso forte di rispetto per le istituzioni».

Fiammetta fa un ritratto del padre: «Alto era il suo senso di fedeltà allo Stato inteso come salvaguardia di diritti e libertà. Egli era però consapevole che quando politica, istituzioni e mafia si mettono d’accordo non vanno più verso la legalità. Per sconfiggere la criminalità, ripeteva, è necessario studiare: la mafia non si combatte con le pistole, ma con la conoscenza e la cultura. “Futtitinne”, diceva “non bisogna cedere all’omertà e alla paura, ma denunciare e rivolgersi allo stato” e ogni sera davanti lo specchio si chiedeva se anche quel giorno si fosse guadagnato lo stipendio”» afferma Fiammetta Borsellino.

I depistaggi e le verità nascoste

Poi parla delle indagini e dei processi: «Si parla sempre dell’agenda rossa di mio padre, ma nessuno dice della scomparsa dei tabulati telefonici del suo cellulare, unico oggetto rimasto integro dopo la strage. Se oggi si sa qualcosa è grazie a Gaspare Spatuzza e al suo pentimento». Ed è proprio sulla perdita di memoria storica che si sofferma il sociologo Ciro Tarantino: «Gianni Rodari sosteneva che la verità è una malattia e oggi assistiamo ad una molteplicità di verità prive di sapere. La memoria collettiva deve invece essere alimentata dalla duplice volontà di sapere».

Il 41bis e la sconfitta dello Stato

Il presidente della camera penale di Cosenza, Maurizio Nucci, si è espresso sul regime di detenzione del 41bis: «I diritti del soggetto non vengono garantiti, la costituzione è violata perché viene a mancare il diritto alla speranza. Bisogna entrare nell’ottica di usare gli strumenti a disposizione del legislatore». A ciò si accoda la figlia del magistrato, Paolo. «La vera morte è quella loro non quella di mio padre: questo l’ho capito dopo aver incontrato i mafiosi sotto questi regime carcerario. Do la colpa al magistrato – afferma Fiammetta Borsellino – che si è girato di spalle, no a chi ha premuto quel pulsante. Dopo gli incontri con i responsabili della morte di mio padre ho avvertito un senso di pace, scevro da qualsiasi rabbia o idea di vendetta». A concludere l’incontro l’avvocato Lisa Sorrentino che ha sottolineato la necessità di avere «un approccio critico senza verità precostituite».

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