giovedì,Marzo 28 2024

Università, il professor Fortino tra i ricercatori più citati al mondo: «Mi volevano a Berkeley ma l’Unical resta la mia casa» (VIDEO)

Docente di Ingegneria informatica con un curriculum che parla diverse lingue, per il secondo anno consecutivo è stato inserito nella classifica “Highly Cited Researchers” di Clarivate. E pochi giorni fa è arrivato un nuovo riconoscimento – L’INTERVISTA

Università, il professor Fortino tra i ricercatori più citati al mondo: «Mi volevano a Berkeley ma l’Unical resta la mia casa» (VIDEO)

Da Paola all’Unical e da qui agli atenei di mezzo mondo. Sempre, però, con in tasca il biglietto di ritorno. Perché casa resta qui, tra i cubi del campus di Arcavacata, lui eccellenza in carne e ossa tra le eccellenze per le quali l’università cosentina è ormai riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Docente di Ingegneria informatica con un curriculum che si arricchisce costantemente, a cinquant’anni Giancarlo Fortino ha nella voce l’entusiasmo che è facile immaginare avesse a vent’anni, e anzi prima come ci dice, quando ha cominciato a muovere i primi passi in questo campo. Appena un paio di settimane fa il professore è risultato tra i ricercatori più citati al mondo nel campo della computer science. E un nuovo riconoscimento è arrivato pochi giorni fa.

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Partiamo da qui: per il secondo anno consecutivo lei è stato inserito nella classifica Highly Cited Researchers di Clarivate/Web of science. Ci spiega di che si tratta e che impatto ha per lei e per l’Unical?

«È una classifica bibliometrica, la più importante a livello internazionale. Quest’anno in tutti i 21 campi di ricerca sono stati nominati un po’ più di 6000 ricercatori ma solo 110 nell’area computer science, e tra questi sono l’unico professore di un’università italiana presente. È sicuramente importantissimo per la mia ricerca e per le mie relazioni ma è parimenti importante per l’Università della Calabria perché in diverse classifiche internazionali questo riconoscimento le permette di avere maggiore visibilità».

Ci fa capire di cosa si occupa la sua attività di ricerca come se lo spiegasse a un bambino?

«La mia attività di ricerca rientra nell’ambito dell’Ingegneria informatica. Inizialmente mi sono occupato prevalentemente di sistemi distribuiti di misura e soprattutto di sistemi multimediali. Attualmente mi occupo di qualcosa di molto innovativo che comunque nasce dalla mia attività didattica e che sostanzialmente riguarda le architetture dei calcolatori, la loro programmazione ma anche l’internet delle cose. Si tratta di una rete che permette a oggetti intelligenti di potersi interconnettere e quindi di darci una serie di nuovi servizi che saranno i servizi fondanti per i sistemi intelligenti di nuova generazione: casa intelligente, macchine a guida autonoma, wearable computing systems di cui mi occupo da tempo e che a brevissimo troveranno nuove applicazioni che noi tutti utilizzeremo».

I wearable computing systems, in pratica cosa sono?

«Molti di noi li hanno usati, pensi agli smartwach. Ma gli stessi smartphone possono essere classificati come dispositivi indossabili. Questi dispositivi possono essere messi in rete, dialogare tra di loro, al fine di darci dei servizi anche sofisticati, quali per esempio il monitoraggio delle nostre attività quotidiane. Sono in grado anche di catturare le emozioni delle persone. Questi sistemi ci accompagnano già in parte nella nostra vita quotidiana ma nel prossimo futuro saranno indispensabili per interagire con i sistemi intelligenti».

In base alla sua esperienza, quanto è difficile – o quanto non lo è – fare ricerca in Calabria?

«L’Unical è un’università che ha da poco compiuto 50 anni quindi non è più giovane: è ormai un’università internazionale, posizionata in tutte le classifiche internazionali, che ha sviluppato un numero significativo di progetti e che quindi, a prescindere dal territorio in cui si trova che è sicuramente un territorio con delle problematiche, è un’università di eccellenza, tra le prime 500 a livello mondiale. Anzi, nell’area della computer science siamo tra le prime 200. Fare ricerca nella nostra università è dunque come fare ricerca in tante altre università nazionali e internazionali di fama. Tant’è che moltissimi studiosi e studenti annualmente vogliono venire a fare il dottorato di ricerca nella nostra università o a trascorrere dei periodi di ricerca nei nostri laboratori».

La domanda che si fa di solito alle eccellenze che vivono e lavorano in Calabria è: perché ha scelto di restare? Sarà banale, ma gliela faccio anch’io, soprattutto considerato che con il curriculum che ha potrebbe andare dove vuole e in effetti è andato, ma è anche sempre tornato…

«Più di vent’anni fa mi trovavo all’Università di Berkeley per la mia prima importante esperienza di ricerca e ho avuto delle lettere di raccomandazione per fare lì il dottorato. In questa occasione ho fatto la prima scelta che poi sarebbe stata il leit motiv della mia carriera: ho rifiutato. È stata una scelta dettata innanzitutto da una sfida che ho voluto sempre portare avanti nella mia vita professionale: restare in Calabria per dare qui un contributo, attraverso la mia università. In tutte le esperienze che ho fatto fuori mi sono state fatte delle proposte che ho sempre rifiutato, per questo motivo e anche per gli affetti, sia quelli personali sia quello che mi lega alla mia terra».

Lei ha appunto all’attivo molte esperienze anche di docenza e ricerca all’estero, che differenze ci sono con l’Italia e con la Calabria in particolare?

«Attualmente, come ho già detto, l’Unical è un’università internazionale, sia dal punto di vista della didattica sia da quello della ricerca ma anche da quello del trasferimento tecnologico quindi dell’interazione con il territorio. Non noto grosse differenze con contesti anche top, siamo ormai molto allineati ad altri atenei internazionali. Cosa che non era così vent’anni fa, quando il gap si notava, ma negli ultimi vent’anni questo gap è stato colmato. Le uniche differenze che vedo adesso sono quelle culturali: sicuramente vivere nell’hinterland cosentino è diverso che vivere a New York o a Shangai».

Tra le tante attività, è anche delegato del rettore alle relazioni internazionali, cioè cosa fa?

«L’attività principale è quella di mantenere i rapporti con i nostri partner e di creare nuove opportunità stabilendo accordi con università di tutto il mondo. Poi gestisco, assieme all’Ufficio Internazionalizzazione dell’Unical diretto da Giampiero Barbuto, la call Unicaladmission che serve per canalizzare studenti internazionali verso la nostra università. Quest’anno è stato un successo perché abbiamo ricevuto quasi 7000 domande da 100 Paesi diversi, poi abbiamo chiaramente dovuto selezionare e ne abbiamo iscritti più di 500. Voglio sottolineare che noi siamo l’università del Sud, quindi da Roma in giù, che ha più studenti stranieri».

È anche amministratore di un’azienda spin off dell’Unical. Di cosa si occupa?

«SenSysCal è stata fondata nel 2010. Operiamo prevalentemente per il trasferimento tecnologico nell’ambito di progetti, anche se abbiamo dei prodotti che vorremmo in un prossimo futuro commercializzare. L’azienda si occupa sostanzialmente della parte tecnologica della nostra attività di ricerca sull’internet delle cose, quindi della realizzazione di sistemi basati su dispositivi innovativi in vari ambiti. È stata fondata con i miei collaboratori più stretti, con i quali lavoro da più di dieci anni, siamo cresciuti insieme. Alcuni sono ricercatori universitari, altri sono ricercatori del Cnr».

L’Unical è un ateneo ormai votato e riconosciuto come eccellenza, accoglie studenti da tutto il mondo ma forse proprio a casa sua sconta un pregiudizio, che è quello che se studi dietro l’angolo è una scelta di comodo più che derivante dall’offerta formativa mentre studiare fuori è spesso di per sé una medaglia al petto. Ovviamente i fatti dimostrano che non è così, ma lei questa cosa la percepisce e se sì perché secondo lei c’è questo pregiudizio?

«Concordo in parte, nel senso che questo pregiudizio si sentiva molto di più diversi anni fa, per esempio quando io ero studente. Adesso, come abbiamo detto, l’Unical è ben posizionata sia a livello nazionale sia internazionale e questo pregiudizio è andato scemando nel tempo. In alcuni casi c’è ancora ma è molto limitato. Attualmente l’Università della Calabria ha un’offerta formativa significativa: abbiamo tra le altre cose 12 lauree internazionali e un nuovo corso di laurea che c’è solo qui, quello in Medicina e Tecnologie digitali: stiamo formando i medici del futuro, che non saranno solo medici ma anche ingegneri informatici».

Ma i ragazzi che studiano con lei all’Unical e in altri ambiti considerati eccellenze, una volta finiti gli studi, hanno la possibilità di mettere in campo qui le loro competenze? Detto in altri termini: la Calabria è pronta a recepire le eccellenze che provengono dall’università o siamo destinati a sfornare eccellenze da esportazione?

«È chiaro che non tutte le menti che noi “sforniamo” possono rimanere qui perché il territorio non è pronto ad accoglierle tutte. Sicuramente è molto più pronto rispetto a quando mi sono laureato io, quando soprattutto in certe aree come appunto l’ingegneria informatica c’erano difficoltà. Qui però deve subentrare un’altra visione che è quella di non considerare il nostro neolaureato come un cervello in fuga ma come un messaggero che porta il suo bagaglio tecnico e anche culturale in giro per il mondo. Io ho avuto centinaia di tesisti, almeno l’80% è stato mandato da me a fare esperienza di tesi all’estero: molti sono tornati, altri sono tornati e poi se ne sono andati di nuovo, altri ancora sono rimasti all’estero. Necessario è far passare il concetto dell’essere messaggeri perché è chiaro che non tutti possono rimanere qui ma è importante mantenere i legami con loro. Dobbiamo insomma mutare i cosiddetti cervelli in fuga in messaggeri perché il cervello in fuga non torna mai e non stabilisce nemmeno dei ponti mentre il messaggero sia che torni sia che resti lontano può essere fondamentale per la crescita della nostra terra».

Per concludere, c’è qualcosa che avrei potuto chiederle e non le ho chiesto?

«Mi potrebbe chiedere che cosa farò da grande».

E cosa farà da grande?

«Ho sempre visto il mio lavoro come un hobby. Ho approcciato il calcolatore e iniziato a programmare quando avevo 12 anni. Da grande continuerò a fare quello che faccio e a cercare di raggiungere traguardi importanti a livello personale ma condivisibili con la mia università. Proprio pochi giorni fa mi è arrivata la notizia che mi è stato dato un altro riconoscimento: sono stato nominato “fellow” dell’Ieee, l’associazione più importante per quanto riguarda gli ingegneri dell’informazione, un riconoscimento che mi è stato dato per il mio contributo nella ricerca a livello internazionale».

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