giovedì,Marzo 28 2024

Il Natale visto dall’Imam, Ahmed Berraou: «Integrazione e diritti le mie preghiere»

Uno dei punti di riferimento della comunità musulmana in Calabria spazia tra una serie di temi di forte attualità. Dall'emancipazione delle donne alla presenza sul territorio, con uno sguardo all'Afghanistan

Il Natale visto dall’Imam, Ahmed Berraou: «Integrazione e diritti le mie preghiere»

Ahmed Berraou è uno dei punti di riferimento per la comunità islamica calabrese. Marocchino di Rabat, ha trascorso metà della propria vita a Cosenza dove è stato Imam. Fautore della democrazia, ha favorito un ricambio generazionale anche e soprattutto nella posizione che occupava. Di recente ha creato l’Associazione Culturale Daawa.odv ed ha fondato il “Respect Cosenza Club”, primo club multietnico d’Italia, che sostiene la squadra rossoblù. Con l’associazione si è prefissato il compito di fare rete e dà sostegno a donne, uomini e bambini a prescindere dall’etnia e dalla religione professata.

Come vive il Natale cristiano? È un normale giorno di mercato oppure avverte qualcosa di differente?

«Per prima cosa c’è da dire che la figura di Gesù, figlio di Maria, per noi è una figura profetica al pari di Maometto. La nostra cultura riconosce principalmente cinque Profeti e, oltre a quelli nominati, ci sono anche Mosè, Abramo e Noè. Spiegato questo, va fatto un distinguo. Gli integralisti, schiera a cui non appartengo, considerano le feste qualcosa di molto serio e pertanto non riconoscono quelle delle altre religioni. Io scelgo la moderazione e ho bene a mente l’importanza del Natale: faccio gli auguri agli amici senza falsità, ma non partecipo ai festeggiamenti».

Vive da 26 anni a Cosenza e si è integrato benissimo. Nota differenze con il resto della Calabria?

«L’area urbana di Cosenza è assimilabile ad una città del nord, accogliente e molto colta. Se non fossi capitato a queste latitudini non avrei completato i miei studi. Per me è un simbolo culturale che ho sposato pienamente. Ma non solo».

Cosa più?

«Mi sento di supportare i movimenti di base con i quali ho condiviso momenti di lotte per i diritti civili. A tal proposito ho anche espresso pubblicamente la mia indignazione per la richiesta di sorveglianza speciale per due sindacalisti, ai quali va tutta la mia solidarietà».

In una sua recente lettera al nuovo sindaco Franz Caruso parlò di immigrati musulmani non considerati come cittadini attivi. Perché?

«Perché non c’è alcuna attenzione da parte delle istituzioni a riguardo. A Cosenza, come nel resto dell’Italia, vive anche gente con tradizioni, abitudini religiose e alimentari differenti».

La sua comunità si disse delusa da Occhiuto, ma ha avuto già segnali dalla nuova amministrazione?

«Parlammo di delusione perché alle promesse non sono seguiti i fatti. Ad ogni modo ancora non abbiamo avuto contatti con l’amministrazione che si è insediata di recente, spero non passi troppo tempo. I nostri messaggi, se non altro per collaborare, li abbiamo mandati…».

Qual è la vostra richiesta?

«Che vengano garantiti i nostri diritti al pari di ogni altro cittadino».

Allarghiamo il campo. Come vive il fatto che qualcuno strumentalizzi l’Islam per uccidere. 

«Parliamo di criminali. Anzi di criminali al quadrato. È gente che non solo si macchia di delitti efferati, ma sfrutta la religione per scopi prettamente politici. Maometto diceva che l’Islam doveva rappresentare misericordia per l’umanità, non solo per i musulmani. Salvare una sola anima, per noi significa carità».

Cosa è veramente la Jihad?

«Uno sforzo interiore per raggiungere la perfezione e diventare un vicario di Dio sulla terra. È una lotta personale per migliorarsi nei comportamenti e nell’etica. La parola Jihad è intesa anche come una lotta difensiva perché il concetto cristiano di porgere l’altra guancia nell’Islam non è presente. Quanto avviene in ambito militare, invece, non sta né in cielo e né in terra: parliamo di strumentalizzazioni inaccettabili».

Perché ci sono musulmani che, pur non fiancheggiando gruppi terroristici, non li condannano fino in fondo?

«Perché esiste un pregiudizio verso l’Occidente dovuto da un lato ad invasioni e guerre, ma dall’altro anche a dei preconcetti insiti nel mondo arabo. Sono gli stessi che esistono tra gli occidentali verso i musulmani, nessuna differenza: è solo l’altra faccia della medaglia».

Lei che si è integrato su un territorio comunque complicato come quello calabrese, cosa risponde a chi sostiene la tesi che Occidente e Islam siano modelli incompatibili?

«Ad un certo punto non lo sono per davvero. L’Islam ha una cultura molto differente da quella occidentale, dove la laicità sta prendendo sempre più piede. Esistono degli estremi che difficilmente si toccheranno. Una cultura laica non contempla il sacro, su cui invece l’Islam poggia le fondamenta. Difficile che, nell’immediato, l’Islam con le sue ferme convinzioni possa portarsi su posizioni differenti. Di sicuro, però, è più semplice che col tempo avvenga questo processo e non il contrario. In tale ottica la sintesi è possibile».

Papa Francesco è un elemento di rottura in tutto ciò. Ha superato le barriere del preconcetto? Se sì, perché ritiene che subisca critiche a riguardo perfino dagli stessi fedeli cristiani?

«Bergoglio ha fatto un grande lavoro, gli viene riconosciuto in modo univoco. I passi fatti verso l’Islam e le altre religioni gli hanno garantito il rispetto di tutti. La vera novità che ha introdotto è stata la parola “inclusione” e a qualcuno dà fastidio».

Che idea si è fatto dei Talebani e di quanto accade nuovamente in Afghanistan?

«Vale il discorso fatto sopra. Sono persone armate politicamente, in questo caso dal Pakistan e dei suoi servizi segreti. Io sposo le parole di Gino Strada e di Emergency: non servivano vent’anni per annunciare il ritiro delle truppe americane. Ciò che va male adesso, andava male anche prima. Soltanto che la propaganda diceva altro».

Nella cultura musulmana il lancio di una scarpa è un’offesa enorme. Ne lancerebbe una verso un terrorista islamico?

«Non una scarpa, per i terroristi c’è solo il carcere a vita come rimedio».

Islam e donne, quanto c’è da fare secondo lei?

«Culturalmente va fatto tantissimo per cambiare la situazione, sia a livello di istruzione che di diritti. Agirei con cautela senza obbligare nessuno, perché viceversa la donna diventerebbe un oggetto da brandire a secondo le mode. L’esempio lampante è la Francia: non si può andare a scuola con il velo, è stata un’imposizione. C’è chi vorrebbe indossarlo spontaneamente e non può».

Cosa sogna per i musulmani 20enni della Calabria?

«Che abbiano diritti sociali e soprattutto di studio. Se oggi una famiglia povera non può garantire un’adeguata alfabetizzazione ai propri figli, figurarsi una musulmana nelle medesime condizioni. L’uguaglianza di fondo, anche nei doveri, è il fine ultimo delle mie speranze e delle mie preghiere».