giovedì,Marzo 28 2024

Elogio degli avversari

Non si può non notare che l'obiettivo del Cosenza è evidentemente il quartultimo posto e non serviva Roberto Goretti da Perugia per dirci che non ci sono strutture

Elogio degli avversari

C’è stato un periodo della mia vita (tra il 1994 e il 2003) durante il quale, se avessi dovuto indicare due avversari, avrei fatto i nomi di Silvio Berlusconi e Paolo Fabiano Pagliuso. Per certi versi sarei stato persino in difficoltà nello stabilire i confini tra due personaggi che, in politica e nel calcio, facevano in modi molto simili gestione privata di una cosa pubblica (sì, lo so che a parlare di una società calcistica come cosa pubblica qualcuno potrebbe inorridire, ma tant’è).

Sareste dunque sorpresi se vi dicessi che, durante il voto che ha portato Mattarella al secondo settennato, a un certo punto mi sono quasi ritrovato a fare il tifo per Berlusconi. E me ne rendo conto, perché il percorso è contorto. In un Paese che ha introiettato nel proprio dna il berlusconismo fino a una tale profondità da non riconoscere più nessun confine tra pubblico e privato, tra giusto e ingiusto, sociale e antisociale, Berlusconi al Quirinale sarebbe stato il doveroso riconoscimento di una resa generazionale. Quando un avversario vince, è più forte, ammetterlo è necessario.

Devo anche dire che Berlusconi e Pagliuso erano, all’epoca, due enormi avversari. Davanti a un pubblico che lo contestava, Pagliuso invitava i tifosi ad andare a seguire lo Zumpano. Appena si ricreò un minimo di entusiasmo dopo la retrocessione di Padova, non esitò a cedere a peso d’oro l’unico calciatore (Morrone) nel quale iniziava a identificarsi la tifoseria. E, nelle beghe interne a una proprietà a “due teste”, contribuì anche al naufragio del sogno promozione nel 2001. Per un curioso scherzo del destino, tra l’altro, quell’anno la vittoria di Berlusconi avvenne nello stesso giorno di un tragicomico 4-4 tra Cosenza e Sampdoria, che mise fine a quella galoppata.

Tutto questo lungo preambolo per dire che, per chi ha incontrato simili avversari, la politica contemporanea da un lato e l’attuale proprietà del Cosenza calcio fanno venire meno qualsiasi desiderio di “combattere”. È impossibile avvertire una qualsiasi vis sentendo parlare di incredibile entusiasmo un presidente che gestisce una società per il quarto campionato di fila nella metà bassa della classifica di serie B. Dunque, capirete perché, fatta eccezione per questo lungo preambolo, le mie critiche alla proprietà (una costante negli ultimi tre anni di Minamò)da questo momento cessano per manifesta inutilità e disallineamento dalla realtà fattuale. Parliamo solo di calcio. Oddio, fino a un certo punto. Perché, come ha notato l’ex rossoblù Walter Mirabelli, non avevamo certo bisogno di Roberto Goretti, anni 45 da Perugia, per sapere che a Cosenza non esistono strutture per il calcio e senza queste, per me, non si può fare nulla.

Noto anche qui un certo disallineamento dalla realtà. Non conosco un solo dirigente sportivo che firmi per un solo anno senza conoscere in partenza la situazione societaria in cui va a mettere le mani – e che a Cosenza non ci sono strutture, a parte gli ormai famigerati seggiolini, è cosa nota in tutta Italia. Goretti, per esempio, conosce molto bene la situazione di Firenze (visto che è stato persino in predicato di diventare ds viola) e sa sicuramente che Commisso il centro sportivo è andato a farselo a Bagno a Ripoli con soldi suoi e che sta facendo di tutto per fare uno stadio da zero sempre con pecunia propria. Per fare le cose insieme, ovvero con quella politica chiamata in causa da Goretti, bisogna sedersi al tavolo insieme. E sappiamo bene che la politica con questa dirigenza si è seduta al tavolo sì, ma per affari diversi da quelli calcistici. E qui davvero chiudo.

Il Cosenza visto a Vicenza, squadra che in casa aveva vinto finora una sola volta, pareggiandone due e perdendone sette, è l’immagine plastica di questa stasi. È difficile non riconoscere in un giocatore come Kongolo un valore superiore a Gerbo o Vallocchia, nel terzetto difensivo una sicurezza maggiore grazie agli innesti di Vaisanen e Hristov (quest’ultimo, in difesa a tre, a me continua però a convincere poco) e in Laura una fisicità maggiore rispetto a Gori. Mentre Larrivey, grazie agli scatti suggestivi di Cosenza pubblicati sui propri social, per ora ha mostrato più talento alla Raf Caputo che fiuto del gol.

Alla vigilia della gara interna col Perugia, insomma, mi pare che le notizie più interessanti si stiano attendendo dalla Covisoc – e mi riferisco a possibili ripercussioni sulla classifica con punti di penalizzazione inflitti a qualche antagonista. Se insomma lo scorso anno non siamo retrocessi, perché col fallimento del Chievo è come se le retrocessioni sono state tre, l’obiettivo stagionale si ripropone anche nel 2022. E se una società, anziché azzannare il campionato se ne sta lì ad aspettare che scorrano i cadaveri degli altri lungo il fiume, per quale motivo la squadra che essa esprime dovrebbe andare a Vicenzamangiarsi un avversario (quasi) già retrocesso?

Se mai ci fosse stato entusiasmo (o un suo insano barlume) attorno al Cosenza dopo il pari col Brescia, quei coraggiosi che sabato sono arrivati a tifare fino al Menti lo hanno visto svanire in quei due o tre contropiedi avviati a due all’ora, in Matosevic che si prende il giallo per perdita di tempo al minuto 70 e in Laura che, anziché tirare, torna verso centrocampo perché non vede sbocchi a una manovra. Niente di personale verso i calciatori citati, per carità, e nemmeno verso Occhiuzzi. E, aggiungo, verso chiunque fosse il timoniere: non tanto per ragioni economiche, ma per motivi ambientali, ho la sensazione che ormai qui a Cosenza farebbe male anche Jurgen Klopp. E, se conoscessi Occhiuzzi, gli consiglierei a fine stagione (comunque vadano le cose) di svincolarsi e, come De Biasi nel 1997, ripartire dalle serie inferiori.

Il tifoso che c’è in me spera sinceramente di essere smentito dai fatti che verranno, ma quel po’ di giornalista che mi resta e che i fatti prova ad analizzarli non può fare a meno di notare che l’obiettivo di questo Cosenza, ad oggi, di un Cosenza che al Menti schierava una linea a cinque difensori anziché far galoppare gli esterni in attacco, è evidentemente il quartultimo posto. Che sarà raccontato ai posteri come il miracolo sportivo visto che, ad agosto, i calciatori disponibili non erano numericamente sufficienti nemmeno a fare un tressette. La salvezza diretta sarebbe possibile solo in caso di crollo di due squadre tra Reggina, Spal e Alessandria.

Insomma, come non avrei mai immaginato in vita mia di rimpiangere un avversario politico come Berlusconi, vista la pochezza dei contemporanei, mai avrei pensato di fare altrettanto con Pagliuso (forse evocato come paradigma negativo dal patron Guarascio, durante la sua intervista telefonica a LaC). Perché ci sono avversari che ti fanno cadere le braccia per la loro inconsistenza e altri che, per essere alla loro altezza, ti obbligano a essere migliore o, almeno, a sforzarti di esserlo. A me, invece, oggi cadono solo le braccia.