martedì,Maggio 14 2024

Il boss intercettato: «Francesco Patitucci business con gli “zingari” non ne fa»

Nel Rit 81/20 emerge una conversazione tra il capo clan degli italiani e Mario "Renato" Piromallo, di cui si è parlato recentemente nel processo ordinario

Il boss intercettato: «Francesco Patitucci business con gli “zingari” non ne fa»

L’ultima udienza del rito ordinario di “Reset” ci ha consegnato un quadro processuale chiaro ma circoscritto. Tra le tante cose emerse durante la deposizione dell’ispettore di polizia della Questura di Cosenza, ce n’è una che ha attirato l’interesse dibattimentale. Ed è senza dubbio la posizione di Francesco Patitucci che sebbene abbia scelto il rito abbreviato rimane la figura principale anche del procedimento penale in corso di svolgimento presso l’aula bunker di Lamezia Terme.

“Pax mafiosa” o confederazione?

Dall’istruttoria di ieri la Dda di Catanzaro ha ricavato un dato investigativo chiaro su Patitucci: è il capo degli italiani. E su questo c’erano pochi dubbi. D’altronde, come raccontato dalla nostra testata nella fase dell’udienza preliminare, era stato lo stesso boss 60enne ad uscire allo scoperto, affermando di aver portato avanti un’associazione con altri “amici” e di aver evitato che scoppiassero a Cosenza e dintorni altre guerre di mafia. Dunque, ha velatamente ammesso che con gli “zingari” era stata sancita una “pax mafiosa” che dura da tanti anni. Arco temporale nel quale comunque è stato eliminato Luca Bruni, un italiano che era, a livello di clan, alleato con gli “zingari” di Cosenza, vista la storicità dei rapporti del fratello defunto Michele con i vari Giovanni Abruzzese e Franco Bruzzese, fratelli di sangue. E in questo contesto nascerebbe, secondo la magistratura antimafia, la cosiddetta confederazione mafiosa che Patitucci, in qualità di capo, disconosce. Ma è davvero così?

Dibattimento e intercettazioni

Un primo indizio sul fatto che Patitucci mal sopportasse il gruppo di via Popilia arriva dall’udienza del 25 gennaio scorso, allorquando l’ufficiale di polizia giudiziaria ha spiegato che il boss «indiscusso del clan», aveva detto in apertura di esame, «non gradiva l’unione di Roberto Porcaro con gli “zingari“». Per “zingari” in questo caso si intendono gli Abbruzzese “Banana” che insieme a Porcaro sono stati condannati nel processo “Testa di Serpente“.

Il secondo indizio proviene direttamente dall’informativa della Questura di Cosenza che ha formato la richiesta di misura cautelare avanzata poi dai magistrati antimafia. Nel racconto investigativo messo nero su bianco dagli agenti della Questura di Cosenza emerge il Rit 81/20, ovvero la “cimice” piazzata all’interno dell’appartamento rendese di Francesco Patitucci, per ascoltare i dialoghi dell’esponente di spicco del clan “Lanzino” di Cosenza. La data è quella del 14 maggio 2020. Siamo in piena fase Covid, prima ondata pandemica. Intorno alle 17 viene registrata una conversazione tra Patitucci, Mario Renato Piromallo e Salvatore Ariello. Come possiamo definire questa intercettazione ambientale? Un manifesto di politica interna di stampo mafioso. Patitucci parla di un «ipotetico ritorno in libertà di Ettore Lanzino e Gianfranco Ruà», rassicurando, tra gli altri, la moglie di Gianfranco Bruni che non avrebbero abbandonato la sua famiglia e nella circostanza assicurano che avrebbero fatto il modo di trovare un lavoro al figlio del “Tupinaro“. Ma c’è altro.

Il colloquio Patitucci-Piromallo

Il colloquio tra Patitucci e Piromallo serve a quest’ultimo per sfogarsi delle tensioni registrate all’interno degli italiani proprio per la precedente vicinanza di Roberto Porcaro con gli “zingari“. Siamo però in un periodo in cui “te piasse” era in carcere per “Testa di Serpente“, quindi le lamentele sono pregresse. Si ricorda del passato e di «quando andavano trovando di togliere di mezzo noi», ricordando a Patitucci che «Robertino… con gli zingari tutti i giorni».

Patitucci sul punto è stato illuminante. «Renà» ha esordito, aggiungendo che «non è che non li posso vedere… gli zingari sono una cosa, noi siamo un’altra», parlando di sé poi in terza persona: «Francesco Patitucci business con gli zingari non ne fa». È la frase che potrebbe chiudere il cerchio differenziando i due sodalizi. Il primo quello degli italiani, una prosecuzione dell’associazione mafiosa ampiamente riconosciuta in diversi processi e fondata da Ettore Lanzino dopo “Garden”. Il secondo, invece, quello degli “zingari“, in realtà strettamente collegato al clan “Rango-zingari“, riconosciuto come tale nella sentenza “Nuova Famiglia“. Ma il pezzo forte arriverà senza dubbio con l’esame dei collaboratori di giustizia. Il vero scoglio dibattimentale per accusa e difesa.

Processo abbreviato “Reset”, le richieste della Dda

  • Antonio Abbruzzese (classe 1975), difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Cesare Badolato CHIESTI 7 anni e 6 mesi
  • Antonio Abruzzese alias Strusciatappine, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 14 anni
  • Antonio Abbruzzese (classe 1984) difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante) CHIESTI 20 anni
  • Celestino Abbruzzese, difeso dall’avvocato Simona Celebre CHIESTI 6 anni
  • Fioravante Abbruzzese, difeso dall’avvocato Cesare Badolato CHIESTI 14 anni
  • Francesco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 12 anni
  • Luigi Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
  • Marco Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
  • Nicola Abbruzzese, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Antonio Sanvito CHIESTI 20 anni
  • Rocco Abbruzzese, difeso dall’avvocato Mariarosa Bugliari CHIESTI 12 anni
  • Saverio Abbruzzese, difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Matteo Cristiani CHIESTI 10 anni e 8 mesi
  • Gianluca Alimena, difeso dall’avvocato Emiliano Iaquinta CHIESTI 2 anni
  • Claudio Alushi, difeso dall’avvocato Antonio Quintieri CHIESTI 18 anni
  • Salvatore Ariello, difeso dall’avvocato Fiorella Bozzarello CHIESTI 20 anni
  • Luigi Avolio, difeso dagli avvocati Cesare Badolato e Raffaele Brescia CHIESTI 10 anni e 8 mesi
  • Ivan Barone, difeso dall’avvocato Rosa Pandalone CHIESTI 8 anni
  • Giuseppe Belmonte, difeso dagli avvocati Filippo Cinnante e Gaetano Maria Bernaudo CHIESTI 8 anni e 2 mesi (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati del processo abbreviato di “Reset”)

Articoli correlati