Reset, rush finale di Celestino Abbruzzese sul gruppo gestito dai fratelli
Terminato il controesame delle difese, il collaboratore di giustizia, nel riesame del pm, ha specificato i ruoli di Luigi e Marco, parlando ancora di Gennaro Presta
Nel giorno del nuovo blitz contro la ‘ndrangheta cosentina, a Lamezia Terme si è celebrata la terza e ultima udienza dell’esame dibattimentale di Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”. Parliamo di un esponente di primo piano della presunta cosca Abbruzzese “Banana” di Cosenza, che ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo la condanna per narcotraffico nell’ambito del processo “Job Center“.
Nel controesame, il pentito Abbruzzese ha risposto alle ultime domande dei difensori, iniziando da Mario Perri (difeso dall’avvocato Gianpiero Calabrese): «Ho avuto a che fare solo in due occasioni, parlo degli anni precedenti all’operazione “Rango-zingari”». Poi si è passati a Giovanni Aloise, sempre difeso dall’avvocato Gianpiero Calabrese: «Tra il 2012 e il 2015 lavorava per me e poi per Ciccio Mazzei. Si trattava di un tossicodipendente e andava al Sert di Cosenza per prendere il metadone. Lo abbiamo messo anche in comunità».
Terzo controesame quello di Nicola Bevilacqua, difeso dagli avvocati Antonio Ingrosso e Gianpiero Calabrese: «Prima dell’operazione “Rango-zingari” fu richiamato da Rango perché aveva un grosso debito. Nicola ha sempre camminato vicino al papà Fiore, un periodo era vicino a Strusciatappine. Parliamo prima di Rango-zingari, dopo non faceva parte di nessun gruppo, ma vendeva cocaina, hashish e marijuana nella zona di Bisignano e Torano Castello. Quando dico ultimamente mi riferisco al periodo 2017-2018». Anche se l’avvocato Calabrese ha fatto notare che in un verbale del 2019 aveva detto che il suo assistito non ero collegato alla famiglia Abbruzzese. Nelle domande del difensore Ingrosso, “Micetto” ha riferito che Bevilacqua prendeva la droga anche dagli italiani, parlando di un episodio avvenuto il 1 agosto del 2019. Fatto accaduto quindi dopo tanti mesi dalla sua collaborazione con la giustizia e contenuto nell’ordinanza di “Reset“.
Altra posizione sotto osservazione è stata quella di Giuseppe Broccolo, difeso dall’avvocato Angelo Pugliese: «Con Giuseppe abbiamo abitato per tanti anni nella stessa zona a Sant’Antonello a Montalto Uffugo. Lavorava in un locale notturno di Rende», la nota “Nocture Place“, situata a Commenda «dove vendevano cornetti, pizzette e altre cose. Chi usciva dalla discoteca andava lì da lui. Reati non ne ha mai commesso, non faceva parte della ‘ndrangheta ma cugino dei Di Puppo». Inoltre, sollecitato dalle domande dell’avvocato Mariarosa Bugliari, “Claudio” Abbruzzese ha confermato che tra Rango e Antonio Abruzzese alias Strusciatappine non correva buon sangue: «Entrambi volevano la testa dell’altro».
Infine, le domande dell’avvocato Cristian Cristiano: «Antonio Abbruzzese chi è? Si tratta di mio cognato, figlio di Giovanni Abruzzese, è il marito di mia sorella. Prima abitava con la mamma, ma comunque sempre in via Popilia. Che lavoro faceva? Gestiva un parcheggio con Andrea Greco e, oltre alle attività illecite con i miei fratelli, comprava e vendeva macchine in Germania». Quesiti finalizzati a far emergere che nel verbale in questione la parola “Vecchiariaddru“, non era riferito a un suo assistito.
Nel Riesame, il pm antimafia Cubellotti ha chiesto a “Micetto” di focalizzarsi sul gruppo dei fratelli: «Il gruppo della mia famiglia era organizzato così: mio cognato Antonio teneva la contabilità, mio fratello Marco con Gianluca Maestri e Denny Romano facevano gli atti intimidatori, oltre ad occuparsi dell’acquisto e vendita di stupefacente. Prima di Testa di Serpente il riferimento per la droga era Luigi, mio fratello, mentre dopo gli arresti del dicembre 2019 era Gennaro Presta ad occuparsi della droga». Ma c’è sempre da dire che “Micetto“, in quel periodo collaborava con la giustizia e quindi, in teoria, non poteva conoscere fatti nuovi.
Le dichiarazioni spontanee
Antonio Colasuonno, detenuto dal 1 settembre 2022, ha reso dichiarazioni spontanee in aula: «Faccio presente delle mie condizioni di salute. Sto peggiorando giorno per giorno, cammino con la sedia a rotelle, è un mio diritto essere curato anche da detenuto, non è una strategia ma voglio essere curato». Sul punto, l’avvocato Chiara Penna ha sollecitato il carcere di Catanzaro a rispondere alle istanze inviate in più circostanze. Il presidente Ciarcia ha garantito che verificherà la situazione.
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