domenica,Maggio 19 2024

Cosenza, le tre “verità” di Marco Ambrogio sul caso di Giuseppe Cirò

Il già segretario dell'allora sindaco Mario Occhiuto è sotto accusa per truffa e peculato, l'ex consigliere comunale cambia ancora versione in aula

Cosenza, le tre “verità” di Marco Ambrogio sul caso di Giuseppe Cirò

Le tre verità di Marco Ambrogio sul caso Giuseppe Cirò. Una diversa dall’altra. E per certi aspetti inconciliabili. Solo una, però, è quella giusta. Quale? A questo punto, non lo sapremo mai. L’ex consigliere comunale di Cosenza è stato convocato oggi come testimone sulla scena del processo per truffa, falso e peculato a carico del già segretario particolare dell’allora sindaco Mario Occhiuto.

L’uomo, infatti, è sotto accusa per le presunte creste sulle missioni istituzionali – circa ottantamila euro – operate ai tempi in cui era di stanza a Palazzo dei Bruzi. Il sospetto è che, tra il 2014 e il 2017, abbia intascato quei rimborsi, simulando spese per viaggi e pernottamenti in realtà inesistenti, ma attribuiti al sindaco o a sé stesso.

È una vicenda che risale al 2017, con il bubbone che si propaga a marzo, quando Occhiuto, accortosi dell’ammanco, licenzia il suo collaboratore, accusandolo di aver sottratto a sua insaputa quel denaro dalle casse del Municipio. Non contento, va anche a denunciarlo in Procura.

Tempo qualche giorno, però, e Cirò da accusato diventa grande inquisitore: ammette di aver operato quei prelievi, ma sostiene di averlo fatto dietro mandato del sindaco, al fine di assicurargli un’entrata extra. È la sua parola contro quella del primo cittadino. Finisce che Occhiuto, carambolato pure lui sul banco degli imputati, otterrà poi l’assoluzione in abbreviato perché ritenuto vittima di «un’escalation denigratoria» proprio da parte di Cirò. È in tale contesto che si inserisce Ambrogio.

Nel bel mezzo delle indagini, infatti, l’ex sindaco lo indica come persona informata sui fatti, giacché proprio a lui, riferisce Occhiuto agli investigatori, Cirò avrebbe esternato tutto il suo risentimento nei confronti del sindaco. Convocato dalla Finanza, però, il diretto interessato non conferma la circostanza. Anzi, in quella sede spiega di non aver mai affrontato l’argomento con Giuseppe Cirò.

Qualche giorno dopo, però, i suoi ricordi si fanno più nitidi, e così invia a Occhiuto una lettera in cui scrive che sì, Cirò con lui ne ha parlato eccome di quella storia, e gli ha manifestato anche la volontà di «vendicarsi» del suo ex datore di lavoro «per fargli pagare il mancato aiuto».

Da qui, dunque la sua odierna convocazione in aula per confermare questo dato. Davanti ai giudici, però, Ambrogio ha aggiustato il tiro, ridimensionato la portata delle sue precedenti dichiarazioni. In tal senso, quelle udite dalla viva voce di Cirò, non sarebbero state vere e proprie minacce. «Ci sono rimasto male e andrò fino in fondo». L’ex segretario di Occhiuto, a suo dire, si sarebbe espresso così al suo cospetto.

Il già consigliere d’opposizione ha risposto alle domande del pm Giuseppe Visconti; dell’avvocato Francesco Chiaia, difensore dell’imputato e di quello di parte civile, Nicola Rendace, in rappresentanza del Comune di Cosenza. Specie i primi due lo hanno incalzato a lungo, ma il diretto interessato non ha chiarito del tutto le ragioni del suo iniziale silenzio davanti alle fiamme gialle, né perché abbia scelto di correggere poi il tiro, informando solo Occhiuto e non gli investigatori.

«Si ricordi che è sotto giuramento» lo ha avvertito il presidente del collegio, Paola Lucente, ma il tema è rimasto comunque irrisolto. Il processo, che vede alla sbarra anche un’ex funzionaria comunale difesa dall’avvocato Mario Ossequio, è poi proseguito per completare il controesame di un maresciallo della guardia di finanza. I lavori sono stati poi aggiornati al 16 maggio per sentire altri testimoni.