sabato,Maggio 18 2024

Dalle radio libere al web, come è cambiato il linguaggio dei media

Interessante seminario organizzato all'Unical sui cambiamenti del linguaggio determinati dall'esplosione dei nuovi media. Giornalisti e filosofi a confronto

Dalle radio libere al web, come è cambiato il linguaggio dei media

Aieve Drim è la storpiatura gergale di “I have a dream”, lo slogan di Martin Luther King. Più prosaicamente, quest’espressione è anche un esempio delle deformazioni subite dal linguaggio grazie al lavorio, non sempre ortodosso (e ancor meno corretto) dei media, vecchi e nuovi. Aieve Drim, infine, è il titolo dell’iniziativa curata dal giornalista Edoardo Maruca e svoltasi il 15 aprile nel cubo 18 dell’Università della Calabria.

Il dibattito, organizzato dal Dices (Dipartimento di culture, educazione e società) e dal Demacs (Dipartimento di matematica e informatica) dell’Unical, è stato dedicato, come spiega meglio il sottotitolo, a “La trasformazione della lingua italiana e del public speaking attraverso i mass media”.

I saluti istituzionali di Rossana Adele Rossi, coordinatrice del Corso di studio unificato di Scienze dell’educazione e Scienze pedagogiche, hanno introdotto il dibattito, moderato e pungolato da Giovanbattista Trebisacce, docente di Pedagogia generale e sociale, a cui hanno partecipato Simona Perfetti, docente di Pedagogia generale e sociale, Edoardo Maruca, giornalista e storico protagonista della radiofonia calabrese, Emanuele Fadda, docente di Filosofia del linguaggio, e Saverio Paletta, giornalista.

La nascita delle radio, prima “libere” e poi “private”, ha provocato la prima, forte rottura nel monopolio pubblico dell’informazione via etere, ha ricordato Maruca, nel corso del suo intervento, in cui ha mescolato storia (locale e nazionale) ed esperienza vissuta. Il tutto condito da un pizzico di humour disincantato. «Non potere ricordare le orribili schermate con cui la Rai annunciava l’inizio e la fine delle trasmissioni quotidiane (neppure sei ore in tutto) perché non siete vecchi come me», ha ironizzato lo speaker tra una foto e una slide.

«Ci sono espressioni che non si possono sentire e che sono colpa di noi giornalisti», ha approfondito Paletta. Tra queste, la palma del peggio spetta «a “giovani ragazzi” e “reati penali”, che fanno a gara per bruttura e inutilità».

Ma quello linguistico potrebbe non essere il problema più grave: «Ci sono due gravi conflitti in corso, sui quali non ho sentito una sola riflessione basata sul Diritto internazionale dai colleghi illustri: segno che nessuno di loro ha avuto l’umiltà di rivolgersi a qualche esperto». Ma «quando la pornografia del dolore resta l’unico registro narrativo, non meravigliamoci se gli addetti ai lavori, quando hanno buone capacità di comunicazione, ci fanno fare figuracce», ha spiegato ancora il giornalista.

Quasi inaspettatamente, il dibattito ha preso toni più leggeri grazie all’intervento di Fadda, che su stimolo di Maruca, si è soffermato sulla fruizione della musica e dell’informazione.

«Il problema è la velocità eccessiva, che spinge gli operatori dei media ad assecondare gli algoritmi con risultati spesso disastrosi». Infatti, ha proseguito il filosofo, «Oggi è quasi difficile per gli artisti produrre dei classici: dubito che un Battiato o un De André avrebbero lo stesso successo». L’informazione “tritacarne” rende impossibile produrre nuovi “classici”, che avrebbero pure difficoltà a farsi notare «in mezzo a tanta confusione dove ciò che conta è attirare l’attenzione».

Per orientarsi e, soprattutto, non soccombere al flusso eccessivo di informazioni – spesso non accurate e a volte non veritiere – occorre studiare e dotarsi di senso critico. È la conclusione, meno scontata di quanto si pensi, del dibattito. Certo, ha provocato Paletta, «anche scuole e mondo accademico hanno la loro fetta di colpe nel crollo culturale generalizzato a cui si assiste». Ma questo non sminuisce di una virgola le responsabilità dei media. Forse non è un caso che il neologismo più simpatico non l’abbia inventato un giornalista ma un bimbo: petaloso.