mercoledì,Maggio 15 2024

SOPRAVVISSUTI | La trippa avvelenata servita in carcere a Cosenza

Uno degli episodi più singolari della guerra di mafia è l'attentato ordito da Giuseppe Cirillo a scapito di Franco Perna e del suo gruppo, ecco perché fallì

SOPRAVVISSUTI | La trippa avvelenata servita in carcere a Cosenza

Muoia Franco Perna con tutti i cosentini. Va da sé, solo quelli del suo gruppo. Il progetto diabolico messo in piedi da Giuseppe  Cirillo nel maggio del 1981 ha proprio questa finalità: uccidere in un colpo solo tutti i suoi nemici. Sono nemici per caso, visto che, in quel periodo, il boss della Sibaritide si trova, suo malgrado, impelagato nelle dinamiche criminali della città dei Bruzi. L’attentato estemporaneo da lui subito nell’ottobre del 1978 all’Elefante rosso di Rende – quello in cui perde la vita il piccolo Pasqualino Perri, undici anni appena compiuti – innesca una spirale di ritorsioni che don Peppino affronta con le armi a lui più congeniali: l’intelligenza sulfurea e il doppiogioco.

In quel momento, Perna è il nemico dei suoi  amici. Quindi diventa pure nemico suo. Per indebolirlo, comincia a traviare i suoi ragazzi: ne battezza alcuni secondo il suo rito di ‘ndrangheta e camorra, suscitando così l’ira del loro vecchio capo. Dà il suo appoggio, militare e finanziario, a Franco Pino, Tonino Sena e Gildo Perri, leader della fazione opposta a quella di Perna.  Così facendo, entra a pieno titolo nella guerra di mafia che in quel momento storico insanguina la città dei bruzi. Pochi mesi ancora e si ritirerà dal conflitto, tornandosene nella sua Sibari, a curare gli affari e a difendersi da altri nemici più diretti. Prima di abbandonare il campo, però, si rende protagonista di un ultimo episodio bellico che sa di soluzione finale.

In quei giorni, nel vecchio carcere di Colle Triglio la malavita ha occhi e orecchie dappertutto. Non mancano gli omicidi dietro le sbarre. Ne sanno qualcosa Carlo Mazzei (1980) e due anni più tardi, Mario Lanzino. I detenuti dialogano impunemente con gli altri affiliati in libertà, che si recano sotto le finestre di Palazzo Arnoni per dare e ricevere ordini. Le mura sono porose, all’interno entra di tutto, persino le armi. E in un’occasione, il veleno. L’idea è venuta proprio a Cirillo. Una fialetta di cianuro può spostare gli equilibri. In quel periodo, nelle celle nove e dieci è allocato un po’ tutto il gotha del clan Perna. È lì che quel siero micidiale è destinato. Ci entrerà all’ora di pranzo.

Un complice di Cirillo riversa la boccetta nel pentolone della trippa al sugo che quel giorno vale da rancio per Perna e i suoi compagni di cella. Nessuno di loro sospetta che quello sta per essere il loro ultimo pasto. Un attimo prima che tutto sia compiuto, però, qualcosa mette sul chi va là Nicola Notargiacomo. Anni dopo, sarà proprio lui, nelle vesti di collaboratore di giustizia, a riferire l’episodio ai magistrati. Si accorge che qualcosa non va, suggerisce agli altri detenuti di non mangiare quell’intruglio. I loro sospetti troveranno conferma: in quella trippa, c’era del cianuro. Un altro pentito, Aldo Acri, spiegherà in seguito ciò che quel giorno mise in allarme Notargiacomo: una mosca, un banalissimo insetto, che dopo aver sorvolato la trippa, cadde stecchita nel piatto.