martedì,Maggio 21 2024

Saranno mafiosi, quando i boss di Cosenza scendevano in pista

Tra divertimento e affari, la passione dei clan per le discoteche e i locali notturni dagli anni Settanta ai giorni nostri

Saranno mafiosi, quando i boss di Cosenza scendevano in pista

Biglietti gratis per le feste, il miglior tavolo riservato per gli amici degli amici, consumazioni a sbafo e poi che altro? Le ragazze che, tra un sospiro e l’altro, osservano ammirate da lontano. Per un giovane e aspirante boss, farla da padrone in una discoteca è un biglietto da visita importante, qualcosa che ti accredita agli occhi del gruppo. Gli atti delle inchieste antimafia degli ultimi vent’anni sono piene di storie così.

Le più fresche le ha raccontate agli investigatori il pentito Giuseppe Montemurro, ex buttafuori contiguo al clan Rango-Abbruzzese che nelle discoteche ci ha sguazzato per una vita. Con le sue confessioni, l’uomo ha fatto luce sul livello di infiltrazione raggiunto dai clan nel business delle serate danzanti, ma per comprendere la fenomenologia della Discomafia non c’era bisogno di aspettare il suo avvento.

La fascinazione della malavita per i locali notturni, infatti, affonda le radici nel tempo. Anche a Cosenza è così. Basta pensare a uno dei primissimi locali sorti in città, il “Gipsy” di via Alimena, un po’ night club un po’ balera, durato l’arco di una sola stagione, all’inizio dei Settanta, e chiuso a seguito di un rovinoso incendio. Ad appiccarlo – anche se non è mai stato dimostrato – è un uomo di rispetto di Reggio Calabria al quale, poco prima, i titolari del locale, lungimiranti, hanno impedito l’accesso in pista.

Altri tempi. Negli anni successivi, il popolo della notte (definizione ancora in là dal venire) elegge quale luogo di ritrovo il “Tiffany” di Andreotta dove, sul finire dello stesso decennio, si radunano anche i giovani gangster, ovvero i mattatori del decennio successivo. Uno di questi, Giuseppe Vitelli svilupperà un culto quasi maniacale per l’intrattenimento festaiolo. Non solo perché lui stesso, all’epoca, è socio di una discoteca (l’Akropolis di Castiglione Cosentino): lo spietato “Peppino”, infatti, arriva a condizionare lo svolgimento di quasi tutta la movida cittadina.

Non a caso, capita spesso che in quel periodo i veglioni organizzati dalla concorrenza salti all’ultimo momento solo perché va a cozzare contro i suoi interessi. Quando a luglio del 1989, poi, il proprietario dell’Oasi di corso Mazzini, Antonio Paese, anche lui pezzo da novanta del crimine locale, perde la vita in un controverso agguato consumato proprio sull’uscio del bar, a rilevarne la gestione, trasformandolo in un night vero e proprio, è sempre lui: Giuseppe Vitelli. Anche quelli, però, sono altri tempi.

I padrini, allora, si chiamano Franco Pino e Franco Perna, capi di due distinte fazioni impegnate a spararsi addosso. Un clima rovente che non risparmia i locali notturni quali il neonato “Apocalisse” di Commenda, un discopub all’epoca unico nel suo genere, che la sera della sua inaugurazione – corre l’anno 1982 – accoglie al suo interno pure due camorristi amici di Pino, giunti apposta da Napoli, in incognito, per fare la pelle a Franco Carelli, affiliato dell’arcinemico Perna. Lo sparano in faccia, nel pandemonio generale, ma senza riuscire a ucciderlo. L’appuntamento con la falce, per lui, sarà rimandato solo di qualche anno.

Sono davvero altri tempi. Franco Pino, che quando non è in carcere oppure latitante, lo si può avvistare con facilità davanti al suo negozio di fiori in via Panebianco, non nutre grande interesse per la mondanità. Preferisce i grandi appalti. Perna, addirittura, fedele alla vecchia linea di Giggino Palermo “U Zorro”, si dice contrario per principio allo spaccio di droga. E’ la vecchia borgata del crimine, spazzata via dal nuovo millennio e dal modernismo dei nuovi malandrini.

Un nome per tutti: Michele Bruni. È con lui che, a novembre del 2004, si torna a parlare di techno-boss, grazie al ritrovamento di un discreto arsenale seppellito in un’area antistante la discoteca “Gotha” di Castrolibero. Pochi anni più tardi, il giovane Bella-bella bisserà con il “Sin club” di Zumpano, locale notturno del quale, si ritiene, lui e il suo gruppo avessero assunto il controllo. Con riferimento a quei fatti, incredibilmente, è ancora in corso un processo.

Da Bruni a Cicero, ovvero gruppo di San Vito, scompaginato nel 2008 dalla cosiddetta operazione “Anaconda”. Tra le pieghe di quell’inchiesta, viene fuori come il clan si fosse pesantemente infiltrato nella vita notturna della discoteca “La corte dei miracoli” di via Romualdo Montagna. Come? Con il controllo dei parcheggi, della sicurezza interna e, più in generale, con il libero accesso garantito ai membri della banda. Sono sempre altri tempi. Che però somigliano tanto ai nostri.