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Boss di Fuscaldo ucciso nel 2003, in aula il pentito Daniele Lamanna

Sostiene di aver partecipato alle fasi preparatorie dell'agguato teso 21 anni fa a Luciano Martello, siparietto in aula con l'imputato Luigi Berlingieri

Boss di Fuscaldo ucciso nel 2003, in aula il pentito Daniele Lamanna

Memorie dal 12 luglio 2003, ultimo giorno sulla terra del boss di Fuscaldo, Luciano Martello. Sono quelle affiorate oggi dal profondo di Daniele Lamanna, oggi collaboratore di giustizia ma all’epoca associato al clan Bruni. E in quanto tale, sostiene di aver preso parte alla progettazione del delitto. Analisi dei luoghi, valutazione delle possibili vie di fuga, sarebbero questi i compiti da lui svolti a supporto del commando entrato poi in azione nei pressi di Paola, in una pizzeria ubicata sulla Statale 107.

Di quel gruppo di fuoco, però, lui non avrebbe fatto poi parte a causa di non meglio precisato «impedimento personale». Tutto questo il pentito lo ha raccontato durante un’udienza del processo a carico di Luigi Berlingieri, ultimo uomo alla sbarra per l’omicidio in pizzeria. L’identità degli esecutori materiali del crimine, Lamanna sostiene di averla appresa, nei giorni successivi alla morte di Martello, dalla viva voce di suo fratello Carlo e dal defunto Luca Bruni.

Dopo aver risposto alle domande del pubblico ministero antimafia, il pentito è passato sotto il torchio difensivo dell’avvocato Nicola Rendace. L’uomo ha affermato di essere stato affiliato in via ufficiale a un clan di ‘ndrangheta solo nel 2006, epoca in cui gli fu conferita la dote dello “Sgarro”. In precedenza, ha detto di sé, l’organizzazione «mi teneva riservato», cioè nascosto agli occhi dei più. Per il caso Martello, anche lui è stato processato e assolto nell’ambito di un altro processo.

Riguardo a Berlingieri, ha specificato di non conoscerlo con il soprannome di “Angioletto” attribuitogli da altri collaboratori, ma con quello di «Giapponese». L’udienza ha riservato anche un piccolo siparietto. Lamanna, infatti, ha detto di ricordare l’imputato come soggetto dalla corporatura robusta, ma dopo averne intravisto la sagoma nel monitor della Corte d’assise, si è lasciato andare a un commento: «E’ dimagrito».

Il diretto interessato ha preso la palla al balzo e, con una dichiarazione spontanea rilasciata subito dopo, ha precisato di indossare da sempre indumenti di taglia L e che il suo peso medio – ottanta kg – non è mai mutato nel corso degli anni. I lavori in aula sono stati poi aggiornati a 27 settembre, data in cui sarà sentito Luciano Impieri, anche lui collaboratore di giustizia