venerdì,Marzo 29 2024

Amantea, i migranti, l’estate

Domenica mattina ero ad Amantea: ho visto la protesta che con un po’ di comodo alcuni hanno chiamato “manifestazione anti-immigrati”. E già questa denominazione semplificata contiene tre fake news in due parole. Innanzitutto, nonostante il blocco del traffico sull’arteria principale della Tirrenica, parlare di manifestazione e intendere così numeri cospicui è falso: erano alcune decine

Amantea, i migranti, l’estate

Domenica mattina ero ad Amantea: ho visto la protesta che con un po’ di comodo alcuni hanno chiamato “manifestazione anti-immigrati”. E già questa denominazione semplificata contiene tre fake news in due parole. Innanzitutto, nonostante il blocco del traffico sull’arteria principale della Tirrenica, parlare di manifestazione e intendere così numeri cospicui è falso: erano alcune decine di persone. Compresa la fronda più agguerrita e tuttavia una quota non indifferente di curiosi che occhieggiava la scena e poco altro. In secondo luogo, non era una protesta contro gli immigrati. Tra Amantea e Lamezia Terme (uno spicchio di Tirreno lungo non più di trenta chilometri) c’è una delle più alte concentrazioni meridionali di presenza migratoria -spesso e non solo, africana. Ad Amantea non si ricordano momenti di tensioni razziali; al contrario le diverse comunità di migranti esprimono un livello alto o medio-alto di integrazione sostanziale. Svolgono attività lavorativa, ancorché spesso umile, talvolta conoscono bene l’italiano anche dopo solo pochi anni di permanenza; riescono persino a ricongiungersi alle famiglie (uno dei nodi più difficili della nostra legislazione). Infine, i pochi che protestavano sulla Statale non protestavano genericamente contro i migranti, ma contro la decisione di assegnare al territorio amanteano una quota di immigrati recentemente sbarcati e positivi al covid-19. 

Per quanto possa suonare un’argomentazione astratta, è invece in concreto enormemente utile che i migranti siano sottoposti a diagnosi in tempi brevi e certi. Se ci si pensa attentamente, è quel che è mancato nella fase iniziale dei contagi e che rischia di mancare oggi nei confronti di turisti o viaggiatori: non censire la dinamica di propagazione è un suicidio. Attesa la quota non definita ma non irrilevante di mild cases e asintomatici positivi, una diagnostica programmata a largo raggio consente di evitare la classica equazione epidemiologica del contatto uguale contagio. 

E su questo bisogna intendersi. Il Coronavirus è divenuto un formidabile vetrino di allarme sociale. Mano a mano che ci distraiamo dalla sua essenziale componente medico-sanitaria (e ci assembriamo senza protezioni, distanze minime, norme igieniche), diventiamo comprensibilmente ma compulsivamente più attenti a ciò che il Covid ha rappresentato nelle nostre vite degli ultimi mesi. Non rivogliamo i blocchi, non rivogliamo i nostri negozi chiusi, non rivogliamo gli ospedali precariamente intasati. Non rivogliamo due mesi che vogliamo dimenticare. Nelle comunità locali questa modalità di reazione somiglia in parte alla sindrome da “nimby” (not in my backyard): i migranti positivi portateli ovunque, non a casa mia. Si accetta cioè il riflesso che qualcosa o qualcuno stia invadendo quel che in realtà troppo spesso non è nostro o non ci è dato. È un meccanismo neanche così imprevedibilmente consolatorio rispetto alla dinamica di debolezza sociale che sempre più spesso costruisce la soggettività giuridica collettiva. È più facile perdere tempo a schierarsi sulla cronaca che conseguire diritti posizionandosi sulla politica. L’antropologia sociale dell’untore nasce nella letteratura europea -diverso il tema nelle letterature orientali o latinoamericane- dal senso di invasione pungente che incrina un vissuto e lo (ri)colloca a un livello emergenziale prepolitico o addirittura antipolitico. Ma è ancora una volta un serpente che si morde la coda: la nostra fragilità personale e sociale non origina proprio sin dalla normalità in cui sentiamo d’aver tutto e quel rassicurante tutto è invece così facilmente minacciabile, persino da ciò che un pericolo non è o non dovrebbe essere? Buona estate, allora, che ci trovi più nudi o più difesi, dovremo appellarci a tutta la nostra ragione e a tutta la nostra cooperazione. Per difendere il proprio molto prima che per attaccare l’altrui.