Costi e benefici (e una strada meno battuta)
Mai come stavolta il nostro appuntamento settimanale necessita di alcuni punti fermi. Sia chiaro, non pretendo che voi li condividiate per forza. Ma facciamo così: io li esplicito e voi converrete con me che sono solo una premessa (dunque, non vale la pena commentarli). Il primo punto fermo è che i calci di rigore fischiati
Mai come stavolta il nostro appuntamento settimanale necessita di alcuni punti fermi. Sia chiaro, non pretendo che voi li condividiate per forza. Ma facciamo così: io li esplicito e voi converrete con me che sono solo una premessa (dunque, non vale la pena commentarli).
Il primo punto fermo è che i calci di rigore fischiati dall’arbitro Giua erano, purtroppo, entrambi sacrosanti. Il regolamento in materia è molto chiaro. Se il difensore interviene con negligenza, imprudenza (è il caso di Legittimo e Sciaudone) o vigoria sproporzionata, ossia se travolge l’attaccante, che abbia toccato per prima il pallone diventa secondario. Com’è accaduto, ad esempio, in Inter-Lazio con Hoedt contro Lautaro.
Il secondo punto fermo è che nella rete del 3-1 del Lecce, purtroppo, Maggio non è in fuorigioco. Il terzo punto fermo è che, grazie a un probabile errore arbitrale (il fuorigioco sul gol di Moro), contro la Spal il Cosenza aveva invece conquistato un importante pareggio. Da questi postulati, consegue che no, non c’è un complotto per farci retrocedere. E sì, i nove rigori contro sono un campanello d’allarme per altri problemi. Su questo specifico tornerò più avanti.
Il quarto punto fermo è che il mercato invernale, dopo Tremolada, sembra aver centrato altri due innesti: Gerbo e Crecco. Per motivi diversi, non si può dire lo stesso degli altri. Difficilmente (ma spero di sbagliarmi) vedremo Mbakogu in forma partita prima di aprile, appena in tempo per confrontarsi con pastiere e cuzzupe. Ripongo invece tutto il mio sconcerto su Trotta e Gliozzi. Sul primo, perché ritengo difficile che un ventottenne con queste caratteristiche (1,88 cm e 85 kg) possa diventare una seconda punta – eppure al Via del Mare così è stato impiegato. Sul secondo perché, è vero, già in tempi non sospetti lo considerai l’unica vera punta del reparto offensivo rossoblù; tuttavia, mai avrei creduto che sarebbe stato così anche dopo il mercato di gennaio. Quasi quasi comincio a provare nostalgia per Varricchio.
Una volta che abbiamo convenuto su questi punti fermi, forse vi sorprenderò se scrivo che, dopo la sconfitta di Lecce, sono molto combattuto. In che senso?, chiederà il Mimmo che c’è in voi. Nel senso che, una settimana fa, ero convinto che Occhiuzzi fosse caputuastu. Cioè un tecnico innamorato di una propria idea di gioco (costruzione bassa, verticalizzazioni, possesso), a tratti in maniera cieca (l’esposizione costante al pericolo delle ripartenze avversarie), al punto da inseguirla senza ripensamenti attraverso lo stesso modulo: il 3-4-1-2 come un santino nel portafogli.
Il primo tempo di Lecce, invece, ha mostrato per la prima volta dopo mesi cosa possa fare questa squadra con quelle idee. Quello che mi domando è perché questa crescita si sia interrotta tra dicembre e febbraio, ma il sospetto è che sia dipeso quasi esclusivamente dalle carenze della rosa (da Bouah e Sacko, di cui si sono perse ormai le tracce, fino a Vera, di cui mi auguro che le perderemo).
Purtroppo però le partite durano novanta minuti e nel secondo tempo, quando il Cosenza ha tirato una sola volta in porta, il Lecce ha potuto mandare in campo Mancosu e Pettinari (noi Carretta e Mbakogu). Eppure già nella prima frazione di gioco le avvisaglie c’erano tutte, e qui torniamo ai nove rigori contro.
Cinque di quei penalty (uno sbagliato, da Diaw) sono arrivati nelle ultime otto partite. Andandoli a rivedere, ci rendiamo conto come siano stati determinati da situazioni di pressing da parte degli avversari o da loro azioni insistite (“tambureggianti”, avrebbe detto Tonino Carino). Quando il Cosenza è in attacco (oppure cerca la verticalizzazione) e perde palla, le squadre che ci affrontano trovano spesso transizioni così veloci da trovarsi in superiorità numerica nella nostra metà campo. È il prezzo da pagare per “giocare alla pari con tutti”? Sì. Ma, in una fredda analisi “costi/benefici” quanti gol ha prodotto tutto questo? Venti (due in meno del Pescara), il sestultimo dato per Expected Goal (1.19) e il terzo peggiore per Expected Goal Against della serie B (1.72, dopo Salernitana e Reggiana). E quante vittorie? Tre. E quanti punti? Ventitré. Detto brutalmente: se “giocare alla pari” permettesse a Gliozzi (o a Trotta oppure a Carretta, a patto che la prossima volta scelga i tacchetti giusti) di segnare tre gol a partita e vincere, io ci starei.
Così, no. Il gioco, secondo me, non vale la candela. E dunque lo ripeto, a costo di sfinirmi i polpastrelli, che io giocherei con i quattro difensori soprattutto per aumentare la densità della mediana (con Ba, Sciaudone e Petrucci certe “infilate” non le prenderemmo) e garantire alla costruzione bassa un maggior numero di linee di passaggio.
È vero, esiste anche in città la mozione in fondo, abbiamo gli stessi punti dello scorso anno e poi ci siamo salvati lo stesso. Ma un anno fa la pandemia fermò i campionati da marzo a giugno e azzerò molti valori, permettendo anche a Occhiuzzi di fare il miracolo salvezza. Se fossi il Principe (ma non lo sono), credo che mi porrei una sola domanda: vale la pena insistere con le stesse soluzioni, anche se (in alcuni casi, visto che il gioco dietro continua a farlo partire Idda) con interpreti diversi e, talvolta, migliori (Tremolada, Crecco, Gerbo)? O meglio: quel primo tempo contro il Lecce è già replicabile, ma per novanta minuti, contro Chievo e Brescia?
Se la risposta è sì, bene: andiamo a prenderci questi sei punti. E, poi, dritti verso quelle quattro partite in cui non possiamo sbagliare nemmeno un fallo laterale (Vicenza, Reggiana, Ascoli e Cremonese, tra metà marzo e aprile).
Se la risposta è no, faccia come il buon Whitman e scelga la strada meno battuta. Perché essere cocciuti non porta lontano in nessuna carriera – e lo dico per esperienza personale.
In conclusione: dato per scontato il sacrificio di Entella e Pescara, considerata la crisi societaria del Brescia, al momento io vedo un Cosenza capace (nella migliore ipotesi) di centrare i playout. Da quart’ultima. Credo sia pleonastico ripetere quanto già scritto da settembre, e cioè che molto (quasi tutto) sia imputabile alla gestione Guarascio, ai soldi di Baez non reinvestiti e alla mancata programmazione. Quello che chiedo a Occhiuzzi è di prendere in esame quel “quasi” e di capire quali margini abbia per trasformarlo nella terza salvezza in serie B. In fondo, il miracolo del 31 luglio 2020 partì da un’intuizione piccola, quasi insignificante: quella di mettere Idda al centro della difesa. Possibile che, nella modestissima rosa a disposizione, non ci sia niente di analogo?